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Il dibattito sulle destre. Giuseppe Parlato, presidente della Fondazione Spirito e De Felice: “Serve costruire la via italiana al Conservatorismo”

giuseppe parlato conservatorismo

L’urgenza è di non disperdere gli archivi delle destre e sostenere, al contempo, il lavoro di chi sta tentando – con rigore scientifico e il sudore della fronte – di riequilibrare la storiografia nazionale in senso plurale. Si tratta di un programma ambizioso che la Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice sta portando avanti da anni […]

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giuseppe parlato conservatorismo

L’urgenza è di non disperdere gli archivi delle destre e sostenere, al contempo, il lavoro di chi sta tentando – con rigore scientifico e il sudore della fronte – di riequilibrare la storiografia nazionale in senso plurale. Si tratta di un programma ambizioso che la Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice sta portando avanti da anni con pazienza, metodo e lo sguardo rivolto alle nuove leve. Da qui nasce la volontà di lanciare, per i tipi di Rubbettino, Presente Storico: la rivista scientifica, tale e quale a quelle tradizionali, con l’importante differenza di essere sfogliabile esclusivamente on line. Un progetto ambizioso. Giuseppe Parlato, storico che ha studiato a fondo i percorsi della destra tricolore, presiede da anni la Fondazione e con lui abbiamo parlato di quali sono i progetti i cantiere, ma anche di quali dovrebbero essere le coordinate politiche e culturali affinché siano definiti gli statuti della via italiana al conservatorismo. 

Professore, qual è lo stato di salute del vostro Istituto?

La Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice sta lavorando su diversi fronti: i convegni, la formazione dei docenti delle scuole e di quanti devono crescere nel campo universitario, la ricerca. Stiamo puntando tantissimo, inoltre, allo sviluppo di solide relazioni internazionali e al riordino degli archivi. Ecco, quest’ultimo punto è per noi particolarmente importante. Al momento abbiamo 75 fondi archivistici, da Ugo Spirito a Camillo Pellizzi, da Giano Accame a Giuseppe Landi, il fondatore della Cisnal, solo per citare i principali. Per quanto riguarda i fondi bibliotecari, segnalo la donazione che Giampaolo Pansa ci ha fatto della sua ampia e interessantissima biblioteca, unitamente alla documentazione di chi gli scrisse nel corso degli anni segnalandogli le violenze durante la guerra civile. 

Perché avete deciso di dare particolare importanza agli archivi, con quale obiettivo?

Oltre ad archivi di personaggi del Novecento abbiamo anche 45 fondi di personaggi, enti e istituzioni della destra nel senso più ampio. La mia idea è di realizzare un archivio unitario delle destre, raccogliendo e digitalizzando tutti gli archivi afferenti alle destre politiche e raggrupparli in un’unica piattaforma condivisa con tutti gli enti partecipanti alla iniziativa.

Da dove proviene questa esigenza?

Ero presente quando a un convegno negli anni ’90 il professor Pietro Scoppola, uno storico di grande valore scientifico, disse che non sarebbe stato possibile fare la storia d’Italia senza le carte della destra. Fu una dichiarazione impegnativa per un uomo che di destra non era. In fondo, non parlare di una parte politica significa cancellarla dal panorama storiografico nazionale e di conseguenza anche dalla memoria civile. Dal 2006, la Fondazione lavora nella ricerca di queste fonti. È stata una svolta decisiva, che non solo ha salvato un patrimonio documentario che si sarebbe sicuramente perduto, ma ha finalmente permesso anche agli storici – e non più ai soli sociologi e politologi – di occuparsi della storia della destra attraverso i documenti, cosa che molti giovani non soltanto di destra oggi stanno facendo con molto rigore scientifico.

Nel frattempo «Presente Storico», la rivista della Fondazione, protesi degli «Annali», ha scelto la versione esclusivamente online, perché? 

La rivista nasce per raccogliere un gruppo di studiosi che da tempo opera con serietà e al di fuori di schemi preconcetti nelle università italiane. Nella direzione ci sono intellettuali che hanno diverse sensibilità politiche: Ester Capuzzo, Gerardo Nicolosi, Giuseppe Pardini, Andrea Ungari e il sottoscritto. Storici che hanno sempre lavorato nel nome del rigore scientifico, senza condizionamenti di sorta. Serve dare diffusione a questi contributi. Per questo motivo, dopo una nobilissima attività durata trent’anni, siamo passati all’online. L’obiettivo è anche quello di fornire ai più giovani una palestra dove poter scrivere di Storia e, allo stesso tempo, uno strumento per tenere unito un gruppo che finora ha lavorato bene. 

Professore, sono le parole di un uomo che ne ha viste tante?

Io sono anziano, sono già in pensione. In Fondazione – allora solo Spirito, poi il nome di De Felice, che ne fu presidente, fu aggiunto una decina di anni fa – ci sono dal 1987. Una vita. Altri dovranno sostenere il carico e il fascino di tale iniziativa che ormai dura da 40 anni.

Ritiene che la storiografia nazionale sia, ancora oggi, orientata a sinistra?

Certamente, vi è una netta maggioranza orientata a sinistra. Credo che ciò sia assolutamente legittimo, come altrettanto legittimo credo che sia il dare voce e spazi accademici a chi la pensa diversamente e ovviamente se lo merita. La colpa non è solo degli altri se la destra è stata scarsamente rappresentata nell’ambito della storiografia contemporanea.

Di chi è la responsabilità?

A differenza di cattolici, sinistra e centro laico, la destra non ha pensato a costruire dei centri in cui poter preparare dei giovani alla vita culturale e accademica; la destra è stata caratterizzata da notevoli individualità a livello culturale, meno a livello accademico, ma non sempre disponibili a lavorare in squadra e a creare reti all’interno delle quali fare crescere i giovani. A questo stiamo lavorando da anni, dialogando e collaborando con tutti. Senza la richiesta di tessere di partito, anche perché noi per primi non ne abbiamo. Allo stesso tempo, però, vogliamo offrire il nostro contributo affinché sia sempre più plurale l’interpretazione storiografica dell’Ottocento e del Novecento. Questa è la priorità. 

Il corpo elettorale non soltanto italiano si è spostato a destra. Ritiene necessario che anche il dibattito culturale debba aprirsi a questa nuova sensibilità?

Ritengo che la nascita del governo Meloni abbia sicuramente accentuato quelle criticità che, a livello di comunicazione pubblica, vedevamo anche prima. Il rischio attuale è che del fascismo, come di altri fenomeni a esso collegati, non si possa più parlare. Da qui la necessità di un discorso rigoroso e scientifico. A una lettura ideologica e faziosa ne sta subentrando una peggiore: una lettura moralistica e superficiale degli eventi. Le giovani generazioni rischiano di non avere più contezza dell’intenso e problematico dibattito che negli ultimi decenni del Novecento ha caratterizzato la storiografia, con lavori innovativi, pensiamo alle ricerche di De Felice e di Romeo.

Crede, dunque, che nel dibattito attuale sul fascismo ci sia tanta propaganda e poca scienza?

A livello di opinione pubblica sicuramente c’è molta polemica politica, senza fondamento storico. Tutti i 25 aprile celebrati da quando è andato al governo il centrodestra di Silvio Berlusconi hanno avuto delle valenze politiche molto forti e nette. Sta succedendo la stessa cosa anche oggi. Davanti a tutto ciò bisogna rispondere con la serietà storica, senza inseguire tale fenomeno, che a mio avviso durerà anche poco, ma ha dei tratti pericolosi. 

La destra di oggi, a suo avviso, ha completato il processo di democratizzazione?

Si tratta, a mio avviso, di un percorso sincero, pieno e credibile. Sottolineato dell’apertura fatta dal presidente Meloni al conservatorismo, un concetto che ben si attaglia all’Italia moderata, mai pienamente rappresentata, e che va ben oltre le colonne d’Ercole del fascismo. Io starei però attento a una cosa, guardando anche alle ultimissime vicende…

Prego.

Occorrerebbe dedicare del tempo per realizzare una riflessione comune riservata ai giovani, dove studiosi e politici possano intervenire, per chiarire i contorni e i confini di questo passaggio politico. Fare i conti con il passato, in sostanza. Abbiamo sempre attribuito troppa leggerezza al Partito Comunista quando alla Bolognina disse addio all’Unione sovietica; quando nacque Alleanza nazionale fu redatto un documento che definiva i riferimenti culturali dell’operazione. Adesso bisogna ripensare a qualcosa di simile. Il compito spetta alla politica, ma anche alla cultura.

Si riferisce al mondo giovanile? 

È necessario che i giovani comprendano bene, razionalmente e non solo emotivamente, il progetto conservatore. Non basta che i leader intervengano sul fascismo a richiamare giustamente il distacco dal fascismo, serve un approfondimento culturale che diventi un momento di riflessione condiviso. Conservatorismo vuole dire tanto. Vuole dire “destra nazionale”: l’intesa tra mondo cattolico, liberale, conservatore e nazionalista. C’era questo nelle intenzioni di Antonio Salandra quando inventò quella definizione, poi ripresa da De Marzio e da Almirante, senza che però nascesse un movimento conservatore. 

C’è spazio per una via italiana al conservatorismo differente dall’esperienza anglosassone?

Direi proprio di sì. C’è stata la destra storica in Italia, un significativo fenomeno conservatore. Mentre il conservatorismo e il liberalismo anglosassone avevano la preoccupazione di difendere l’individuo dallo Stato; in Italia sono stati i conservatori e i liberali a fondare lo Stato. Una prospettiva completamente diversa da quella anglosassone. La destra storica cade sulla nazionalizzazione delle ferrovie, parliamoci chiaro. Cade su un “più Stato”, non sul “meno Stato”. Bisogna recuperare questo tipo di conservatorismo, questa tipica espressione italiana, un fiume carsico che passa dalla destra storica al nazionalismo, al fascismo (che lo interpreta solo in parte). Qui abbiamo un discorso di conservazione dei valori. Il discorso di Augusto Del Noce va recuperato in questa direzione.

Ci sono i conservatori: ora tocca edificare il conservatorismo, giusto?

Nel dopoguerra, il conservatorismo non ha avuto una rappresentanza politica univoca. Una parte stava tra i liberali, una fra i missini e, un’altra ancora, tra i democristiani ma senza una reale consapevolezza. Non ha avuto una identità specifica: bisogna dargliela. E per dargliela bisogna ragionare un attimo. Alcuni libri sono già usciti, occorre metterli a confronto e formulare un documento che possa indicare i confini. Altrimenti resterà qualcosa di  magmatico, che i giovani non percepiscono, utilizzando questa parola sulla scorta di significati inidonei e incongrui.

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