L’EDITORIALE – Conte, il calcio come arte sartoriale: perché l’allenatore fa ancora la differenza
Nel calcio moderno, dove la narrazione veloce e urlata spesso soffoca il pensiero, Antonio Conte rappresenta una salutare eccezione: la prova vivente che l’allenatore non solo conta, ma incide. E se è bravo, incide parecchio.
C’è una tesi abusata, gridata con la sicumera tipica di chi confonde il commento con la competenza: l’allenatore non conta, sono i calciatori che vanno in campo. Falso. O quantomeno parzialmente falso. Perché nel calcio, come nella letteratura, non basta avere buoni vocaboli se manca la sintassi. Antonio Conte, al Napoli, sta dimostrando proprio questo: che il verbo allenare è ancora decisivo, soprattutto quando è coniugato con intelligenza.
Conte incide perché sa motivare, ma soprattutto perché sa collocare. Mettere ordine non significa irrigidire: significa leggere gli uomini prima ancora dei numeri. E i numeri — pace agli iconoclasti del pallone — contano. Il modulo non è un feticcio né una gabbia: è il posizionamento razionale dei calciatori sul campo. Lo schema, semmai, è un’altra cosa: sono i movimenti preconfezionati che vivono dentro il modulo. Confondere i due concetti significa smarrire la bussola tattica.
Questo Napoli è una squadra cucita addosso ai suoi interpreti. Le esplosioni di Neres e Lang non sono epifanie casuali, ma conseguenze logiche: finalmente schierati nelle loro zone di comfort, nei corridoi dove il talento respira invece di affannarsi. Beukema, centrale a suo agio nella difesa a tre, è un altro tassello che racconta la stessa storia: uomini messi al posto giusto, nel momento giusto.
Il grande merito di Conte, oggi, è la sua evoluzione. Non è più l’allenatore integralista di un tempo, prigioniero del proprio dogma. A Napoli si è fatto sarto più che architetto: prende le misure, studia il contesto, adatta il vestito alla serata. A volte da gala, altre da battaglia. Ma sempre con coerenza.
Perché il calcio è sì materia viva, imprevedibile, ma resta una scienza applicata all’istinto. E se un calciatore non si sente a proprio agio nello scacchiere tattico, non renderà mai al cento per cento. Conte lo sa. E lo applica.
Il mister azzurro è la dimostrazione che, quando l’allenatore è davvero bravo, fa la differenza eccome. Tutto il resto — le semplificazioni, le sentenze da salotto e le mode passeggere — resta rumore di fondo. Il campo, come spesso accade, racconta un’altra verità.
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