Federica Iaria nasce a Genova nel 1980 e da trent’anni vive a Verona. È felicemente sposata con un poeta e artista, con cui mano nella mano combatte la disinformazione sulle malattie neurodegenerative. Dal sette ottobre 2023 ha creato numerosi documentari amatoriali che hanno partecipato anche a film festival, scritto articoli, tradotto libri e organizzato eventi. Di lei dice: «Sono sionista, ebrea, orgogliosa e testarda». Per Panorama.it ha prodotto il docufilm “Frammenti d’Orrore”.
Come nasce il tuo impegno nel documentare quanto accade, del quale hai anche realizzato una versione inedita per Panorama.it?
«Perché sento che il silenzio sia colpevole quasi come la disinformazione. In primis dal dolore provato nel vedere, che immediatamente dopo il barbaro massacro del 7 ottobre, c’era nel mondo chi festeggiava, c’era già chi negava. L’esempio lampante di due aspetti fondamentali nella trattazione dell’argomento. Il primo la non conoscenza della storia della nascita dello stato di Israele, avvelenata dalla narrazione propagandistica a discapito della realtà documentata e incontrovertibile. Nessuno, o pochissimi, sanno dei molteplici NO alla divisione in due Stati sempre provenuta dai paesi arabi, che il primo articolo dello statuto di Hamas sia l’annientamento di Israele, come per la Lega Araba la non accettazione a esistere di Israele sia stata sancita in Sudan nel 67, che altro non è che lo slogan “From the river to the see”, cantato senza nemmeno essere compreso. Il secondo aspetto è invece la latenza dell’antisemitismo, travestito da antisionismo. La puntuale adozione di due pesi e due misure nel valutare ogni decisione di Israele, sezionata chirurgicamente, con un giudizio, incoraggiato anche da organi come l’Onu, mai applicato ad altri conflitti».
Quali sono stati i momenti piu’ difficili durante la realizzazione?
«Quello emotivo di attraversare la galleria degli orrori, alla ricerca di immagini e testimonianze che potessero essere un grido disperato di ascolto da parte del mondo. Quello personale: legato alle minacce, agli insulti, alle denigrazioni per un tentativo di far prendere coscienza a chi voleva vedere il mio lavoro, che il 7 ottobre è un aspetto fondante della realtà attuale e che va riconosciuto a tutti gli effetti come dichiarazione di guerra. Quello politico, infine, il silenzio rumoroso di tanti e la non spiegazione, al fruitore televisivo soprattutto, dell’enorme differenza tra una democrazia (contestata anche per mesi in piazza) e un’organizzazione terroristica. Non possono essere comparate, nemmeno nel mondo delle allucinazioni. In una qualsiasi delle realtà con forte base terroristica verso cui oggi Israele sta rivolgendo i suoi sforzi, con anche il sacrificio dei propri giovani dell’IDF, nessuno è libero. In primis il popolo abitante quelle terre, soggiogato e prima vittima di una totale assenza di democrazia. Abbiamo ben visto in Iran che, contrariamente a Tel Aviv, una contestazione viene repressa nel sangue, che esiste una polizia morale che ti uccide per un velo mal riposto, che i civili sono dichiaratamente sangue da versare per la causa (parole dello stesso Ismail Haniyeh rispetto a Gaza). Queste sono cose che vanno pesate nel comprendere che il terrorismo è il nemico da battere, per Israele ma anche per l’occidente, perché non si può avere la memoria così corta da dimenticare il Bataclan, Nizza, Madrid, New York etc che ci hanno permesso di vedere da vicino come il sangue possa essere sparso gridando Allah u Akbar (in contrasto netto con il Corano, ma solo attraverso un’interpretazione forzata), o l’ipocrisia di non accettare che sia Israele l’avamposto che combatte in favore dell’occidente il terrorismo, per pregiudizi legati a mancanza di conoscenza o preconcetto verso il sionismo/ebraismo ».
Cos’è stato per te il 7 ottobre 2023?
«La disfatta della ragione, titolo della prima azione che mi ha vista attivamente coinvolta per la commemorazione dei sei mesi dal massacro. La perdita della bussola morale. L’emergere di una necessità, a livello scolastico, di una spiegazione chiara e non faziosa dei fatti da parte dei professori. Le lacrime per Noa e Gidi, 27 e 24 anni, che conoscevo fin da ragazzini, pronipoti di una sopravvissuta di Bergen Belsen, tornata a casa pesando 24 kg, rientrati dal Nova Festival ancora più leggeri, in buste di plastica contenenti le loro ceneri, 11 giorno dopo che avevano chiamato, alle 6.30 del 7 ottobre i genitori per dire loro addio. Il dolore della loro nonna Eva, mia cara amica. Significa sentire l’amica Angelica Calò, dal kibbutz Sasa esausta per le sirene continue e i figli al fronte, sentire lo shock di un paese che da sempre ha dovuto sopravvivere alle guerre di attacco, dal 15 maggio del 48 quando a combattere erano i reduci dell’olocausto per una guerra d’Indipendenza figlia dell’attacco di tutti i paesi circostanti. Significa aver capito che il mondo non conosce la storia, non la vuole conoscere perché la propaganda è più semplice. Si tratta della necessità di fare la mia parte, di trovare la forza, anche quando penso non ce ne sia più tra lavoro e famiglia, per non fermarmi MAI, ma anzi agire sempre di più incisivamente. Per la controinformazione, per l’onore delle vittime e degli ostaggi verso cui il cuore di tutti dovrebbe essere rivolto»
Ora Federica Iaria ed Elisa Garfagna podcaster, doppiatrice pubblicitaria e cinematografica che ha prestato la sua voce nel documentario prodotto in esclusiva per le nostre testate, stanno per dare vita al “Movimento Aperto Donne Sioniste”. A loro chiediamo perché proprio ora e quali sono gli obiettivi che si pongono.
«Il Movimento Aperto Donne Sioniste, in acronimo è MADS, che significa matti in inglese, proprio perché in questo momento per esporsi ci vuole molto coraggio e forse un pizzico di follia, è un movimento le cui parole chiave sono Aperto e Sionismo. Aperto perché l’iscrizione non è riservata solo alle donne, ma a ogni genere, sesso, confessione religiosa, pensiero politico, tanto che lo stesso consiglio sarà costituito da donne e uomini. Sionista perché è comunque un movimento che vuole aiutare Israele, dal capirne la storia ad agire attivamente. Qui entra il concetto di Donne, perché molte delle attività che vogliamo attuare saranno rivolte alle donne, che il 7 ottobre sono state massacrate in ogni forma possibile, in Israele fisicamente e nella negazione di quanto avvenuto, universalmente. Perché ogni donna deve sentirsi colpita se viene negata la violenza su una sua simile, in qualunque parte del mondo ella si trovi. Noi non vogliamo essere “politically correct” a ogni costo, ma dare corpo all’Azione, alla solidarietà. Riportare, chi vorrà sentire, sulla rotta della storia, anziché della distorsione della realtà. Anche per questo il tema della Formazione ed Educazione è parte della nostra carta di intenti, la conoscenza è da sempre la chiave per aprire ogni porta. E la porta del nostro Movimento è spalancata a tutti coloro che vorranno opporsi a chi oggi dice che bisogna andare di casa in casa a marchiare le case degli ebrei, a chi manifesta con cartelloni contro i sopravvissuti all’olocausto a chi si schiera dietro una propaganda di cui non conosce il vero significato, di chi, con coscienza o meno, si schiera con il terrorismo. Siamo in fase di ultimazione burocratica per il lancio effettivo del Movimento, per il quale abbiamo avuto un riscontro mediatico molto positivo. Ci auguriamo quindi di poter fare la nostra parte, il nostro dovere morale, perché anche una sola persona che possa approfondire tematiche tanto complesse e uscirne strutturato nella propria coscienza è una grande vittoria»
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