«Razzi, bombe, tutto… D’ora in poi non mi fermerò, che tutti stiano attenti ormai… d’ora in poi che tutti escano dai propri luoghi di lavoro, che escano dalle loro fabbriche, raderò al suolo tutto». A formulare questa minaccia, intercettate dalla polizia italiana, è stato Boris Boyun, il boss della mafia più ricercato in Turchia e residente nel nostro Paese, da dove - seppure agli arresti domiciliari - continuava a coordinare le molteplici attività criminali in mezz’Europa. Arrestato lo scorso maggio, prima che rifornisse di armi una cellula terroristica a Berlino, è accusato di terrorismo e traffico di migranti lungo la rotta balcanica.Questo perché, dall’eroina ai kalashnikov, dalla jihad ai migranti, la criminalità turca - anche detta «mafia del Bosforo» - si è irrobustita di anno in anno, diventando sempre più aggressiva e violenta. Del resto, la Turchia – favorita dalla naturale posizione geografica come crocevia tra Asia, Medio Oriente ed Europa – è ormai stabilmente via di transito privilegiata della maggior parte dei traffici illegali provenienti dall’Est e diretti nel nostro continente.
Storie come quella di Boyun non sono a sé: difatti, alla sua uscita di scena è corrisposta un’ondata di omicidi tra bande rivali di mafiosi turchi tanto in Spagna, quanto in Inghilterra e Moldavia. L’ultimo esempio viene da Barcellona, dove il narcotraffico gode di connivenze storiche e basi logistiche collaudate. Qui si è consumato il primo di una serie di delitti che da mesi inquietano il sottobosco criminale legato agli oppiacei e alle armi destinate a terrorismo internazionale di matrice islamica.È l’ora di pranzo dello scorso 4 maggio quando a Diagonal Mar, sul lungomare che conduce alla Barceloneta, quattro uomini stanno pranzando in un elegante ristorante. Uno di loro è in sedia a rotelle, e sembra essere il «pezzo grosso». A un certo punto, uno dei commensali riceve una telefonata, così si alza e si allontana. D’improvviso, viene affiancato da un sicario, che gli scarica cinque colpi nella nuca e fugge a piedi. Riverso sull’asfalto in una pozza di sangue rimane Ilmettin Aytekin, soprannominato «Tekin Kartal» ovvero «Tekin l’Aquila»: è incensurato, ma tutti sanno che si tratta di un affiliato della mafia turca. «Un pezzo grosso», riferiscono fonti della polizia spagnola. Ma non il più «grosso» a quella tavola.
Da quel momento, comunque, parte una resa dei conti che dalla città catalana arriverà fino a Londra: una lunga scia di sangue che sta lordando le strade d’Europa e creando non pochi problemi alle polizie europee. Forse il sicario neanche lo sa, ma l’uomo sulla sedia a rotelle con cui stava pranzando la sua vittima è Abdullah Baybashin, 64 anni, membro di un clan legato al traffico di droga che impera nel Vecchio continente. Suo fratello, Hüseyin Baybashin, un tempo era conosciuto addirittura come «il Pablo Escobar d’Europa»: attualmente sta scontando l’ergastolo nei Paesi Bassi. Suo fratello Abdullah invece è libero, pur costretto alla semi-infermità dopo essere sfuggito a sua volta a un attentato legato al narcotraffico nella Londra degli anni Ottanta. I resoconti dell’epoca riferiscono che la banda da lui guidata, conosciuta come Hackney Bombers o Hackney Turks (dal nome dell’area nord-orientale di Londra in cui operava), era responsabile del 90 per cento dell’eroina introdotta nel Regno Unito in un periodo in cui lo stupefacente derivato dall’oppio era di gran lunga il più diffuso in Occidente. Assolto dall’ultima di una serie di accuse per narcotraffico nel 2010, Abdullah Baybashin ripara in Turchia, dove pochi mesi dopo tuttavia è nuovamente arrestato e condannato a 40 anni di prigione per una partita di cocaina proveniente dalla Bolivia, per la quale lui si era ritagliato il ruolo di intermediario.
Nel 2017, però, contro ogni aspettativa viene rilasciato: la Corte Suprema infatti annulla le condanne a suo carico e lo pone semplicemente sotto controllo giudiziario «con divieto di viaggio». Non serve a molto: avvistato nel giugno 2024 nel nord della Spagna, Baybashin viene ripreso più volte dalle telecamere di sicurezza di Barcellona e, in un’occasione, lo si vede cenare proprio insieme a Kartal, la sera prima di che quest’ultimo venga freddato. Intanto il 29 maggio, poco meno di un mese dopo l’omicidio di Kartal, a Londra tre uomini vengono feriti da un killer in moto, che apre il fuoco contro i commensali del ristorante Evin di Hackney, quartier generale londinese della mafia del Bosforo. Tra le vittime anche una bambina di nove anni, che non muore per miracolo. La polizia concentra i sospetti su una famosa gang locale, i Tottenham Turks, che potrebbero aver mirato a un membro degli Hackney Turks, rivali nello spaccio di eroina.
Ma non finisce qui: il 10 luglio, sei settimane dopo i fatti di Londra, i Tottenham vengono nuovamente presi di mira, questa volta nelle strade di Chishinau, in Moldavia. Izzet Eren, 41 anni, uno dei capi dei Tottenham Turks, viene assassinato con sette colpi di pistola in un bar del centro. Le autorità moldave descrivono l’omicidio come un regolamento di conti tra bande per lo smercio di eroina: la vittima era già stata condannata nel Regno Unito a 21 anni di reclusione nel 2015 per traffico di armi. Eppure, una volta estradato in Turchia nell’agosto del 2019, Izzet Eren riesce misteriosamente a fuggire dopo appena un mese per poi ricomparire in Moldavia. È passato dalla Transnistria, regione moldava separatista e filorussa, che ospita basi militari e truppe di Mosca: «È arrivato con l’ondata di rifugiati dall’Ucraina che fuggivano dalla guerra» riferiscono fonti della polizia di frontiera.
Il crescente livello di violenza tra le bande criminali turche cui assistiamo oggi in Europa è da attribuire in larga parte a una grave scarsità di eroina, la principale sostanza illecita gestita da queste organizzazioni.