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Il brigantaggio rivisitato

Una poderosa ricerca di Carmine Pinto, ordinario di storia contemporanea a Salerno, condotta tra Campania, Calabria e Basilicata, cambia il quadro della tradizionale narrazione, proponendo una nuova e provocatoria interpretazione: «la ricerca storica consente di prendere le distanze e di collocare uomini e vicende nella loro epoca».

Eccola la guerra del Mezzogiorno, capace di catalizzare l’attenzione di mito e realtà nell’unificazione italiana. Da sempre oggetto di rielaborazione a più voci – ora ricerca identitaria, ora trasformazione del passato chiamata a giustificare le azioni politiche del presente- la prima guerra italiana si combattè proprio a sud di Roma, tra il 1860 e il 1870, quando il movimento unitario e le istituzioni del nuovo Stato si scontrarono con i borbonici e i briganti napoletani. Partendo da queste coordinate temporali, Carmine Pinto, ordinario di Storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Salerno e Direttore del Dipartimento di Studi Umanistici, con il suo La guerra per il Mezzogiorno. Italiani, borbonici e briganti 1860-1870 pubblicato da Laterza, punta l’obiettivo sul XIX secolo, contando su una novità di materiali e documenti ed una vastità di ricerche, e offrendo (diremmo, finalmente!) un’interpretazione prospettica fortemente innovatrice rispetto a quelle sino ad oggi acquisite.

Professore Pinto, la sua ricerca va oltre luoghi comuni e vecchie interpretazioni, pare di capire.

«Il libro e il dibattito che ne sta emergendo in questi giorni, colloca il concetto di “guerra per il Mezzogiorno” in una dimensione di lungo periodo, interpretando il decennio 1860-1870 come il definitivo incontro tra l’antico conflitto civile interno al regno meridionale e la rivoluzione nazionale italiana. Sia chiaro che non si tratta di una vicenda regionale: nel nostro Mezzogiorno, come nel resto d’Europa e del mondo atlantico, progetti statuali, tradizioni sociali, comunità politiche alternative si misuravano da decenni con le grandi rivoluzioni di fine Settecento, proseguite nel “Decennio francese”».

La ricerca si basa sul concetto di “contrapposizione”…

«Si parte da quella classica, negli anni della Rivoluzione e dell’Impero napoleonico, di contrapposizione dei borbonici ai repubblicani e filo-napoleonidi. Nel mezzo secolo successivo, innanzitutto con le rivoluzioni del 1820 e del 1848, abbiamo poi assistito alla contrapposizione tra liberalismo e assolutismo, che non venne mai risolta. Ricordiamo come “il borbonismo” vide nella Costituzione il nemico più pericoloso: i liberali napoletani e siciliani, ad esempio, si convinsero che non potevano ottenere le libertà con la monarchia delle Due Sicilie».

Ricordiamo che prevalse il nazionalismo italiano proprio contro i Borboni…

«Nel 1860, unitari napoletani e siciliani determinarono il crollo del Regno grazie alla spedizione garibaldina, abbandonata quasi completamente dai gruppi politici dell’isola. Il Borbone riuscì comunque ad organizzare un blocco che la sostenne nelle province napoletane. Io sostengo, a chiare lettere, che la guerra per il Mezzogiorno fu lo scontro tra il movimento nazionale italiano, al cui interno i liberali meridionali erano parte importante, e i difensori della monarchia borbonica, che utilizzarono il brigantaggio politico come braccio armato».

A proposito di contrapposizione, allora.

«Si trattò, innanzitutto, di una contrapposizione tra idee e narrazioni nazionali, visioni dello Stato e della società che proponevano, da un lato il costituzionalismo liberale e la nazione risorgimentale e la monarchia assoluta e il patriottismo regionale. In secondo luogo di un intenso scontro politico ideologico tra il borbonismo autonomista e il nazionalismo liberale. Infine, di una lotta armata combattuta prima da eserciti regolari e da rivoluzionari, poi da varie forme di attori istituzionali o irregolari: e fu, a quel punto, che il brigantaggio diventò un attore di primo livello anche sul terreno della rappresentazione mediatica».

Emerse, in quegli anni, il movimento risorgimentale.

«In realtà, fu proprio sul terreno delle idee che il movimento risorgimentale, coinvolgendo tutti gli scrittori, musicisti, accademici più famosi dell’epoca, travolse e sconfisse i difensori degli antichi stati, borbonici e asburgici innanzitutto. E così anche sul piano politico e militare il blocco unitario travolse il brigantaggio politico e suoi sostenitori, anche se in una campagna cupa e sanguinosa, destinata a lasciare una lunga scia di memorie. Sono queste a tornare oggi, confondendo però il mito con la realtà. Invece la ricerca storica consente di prendere distanza e collocare uomini e vicende nella loro epoca, forse più affascianti anche per questo».

I “briganti” e il “brigantaggio” innervano le sue pagine.

«Il discorso è, ovviamente complesso e faccio costantemente riferimento ad una forma di brigantaggio che non è neanche meramente criminale. Mi spiego: senza dubbio le modalità di estrinsecazione dell’azione politica del brigantaggio furono di tipo criminale -cioè violento- ma sento di poter affermare, dati alla mano, che il ricorso alla violenza non è distinguibile da quello di altri e contrapposti soggetti che agivano sul palcoscenico della Storia in quel dato momento storico. Il ricorso a pratiche violente si alimenta di altre pratiche violente, e tale tipo di agire è praticamente inconcepibile al di fuori di una “guerra civile”. Ecco perchè il “brigantaggio” fu un fenomeno del tutto “politico”».

A proposito: lei si è schierato?

«Sono partito, ovviamente, da una ricerca “storiografica”: i “materiali disponibili”, le dichiarazioni di intenti, i simboli cui ho fatto ricorso, insieme ai protagonisti degli eventi dell’unificazione nazionale, rimandano al programma politico perseguito nel decennio preso in analisi, ovvero ristabilire l’ordine tradizionale e la vecchia patria, attraverso la restaurazione del re legittimo e del ruolo della religione, eliminando fisicamente un complesso di nemici, locali e generali, che nelle pagine della ricerca ho definito, a ragion veduta “nazione”. Per il semplice motivo che tale si auto-definivano».

Ci faccia capire meglio!

«All’epoca era clericale-legittimista lo schieramento internazionale che esaltava la guerriglia brigantesca, che la finanziava con risorse e volontari: non dimentichiamo che furono il governo e la corte di Francesco II, insieme ai loro protettori romani, ad alimentare la ribellione dei briganti. C’erano sacerdoti, nobili, ex-funzionari, ex-militari che formavano la rete dei comitati borbonici, tra Napoli e i territori in cui, in concreto, si combattè, e che organizzava la rivolta dei c.d. “briganti”

Cosa fu il brigantaggio, allora?

«La mia ultima ricerca lo specifica: il brigantaggio non può essere inteso che come un momento della “guerra per il Mezzogiorno”. Un momento finale, perché rappresenta un contraccolpo dei grandi rivolgimenti del 1860, dei due colpi micidiali inferti in quell’anno dalla rivoluzione al regime borbonico: il primo in Sicilia, il secondo nel Mezzogiorno continentale».

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