C’è qualcosa di più profondo e inquietante nella crisi precoce del Milan al di là del punticino misero recuperato contro il Torino, con la prospettiva di una classifica che rischia di farsi subito tema di preoccupazione. Qualcosa che va oltre gli errori di squadra e dei singoli, la scarsa condizione atletica di alcuni uomini chiave e la necessità di integrare la maggior parte dei nuovi arrivati, quasi tutti sbarcati a Milanello fuori tempo massimo per l’avvio del campionato. E’ qualcosa di più profondo e inquietante perché riporta alla memoria la versione peggiore del Milan pioliano, quella della passata stagione: fragile e spesso senza anima, indifesa nel suo cercare di pressare alto sul campo lasciando praterie nella propria metà del terreno di gioco. Una brutta copia certificata dai numeri: 69 gol subiti di cui 49 in Serie A, troppi per coltivare qualsiasi ambizione da 80 e più punti e quindi da scudetto.
Il Milan presentato da Fonseca contro il Torino e poi a Parma ha fatto tornare alla mente pensieri brutti. E se nel debutto a San Siro gli errori del tecnico erano stati evidenti fin dalla scelta della formazione titolare, troppo sbilanciata avanti come se il processo di apprendimento del nuovo calcio fosse già concluso, quella che si è consegnata alle ripartenze del Parma ha avuto l’effetto di uno choc. Al netto degli svarioni individuali e delle gambe meno reattive rispetto ai ducali, qual è il Milan che ha in mente Fonseca? E di conseguenza, qual è il Milan che ha in testa Ibrahimovic e che ha guidato le scelte di un mercato ancora tutto da giudicare?
Perché il dubbio è che dietro l’etichetta di “dominante” che Fonseca gli ha appiccicato nell’estate dei risultati positivi nelle amichevoli contro le big, ci sia l’idea di una squadra che debba replicare con declinazioni differenti i dogmi già visti con Pioli: aggressione alta, verticalità, ritmo e nessun timore nel lasciare i difensori a giocare uno contro uno in campo aperto. E’ vero che Pavlovic ha debuttato con il piglio dei migliori, ricordando Stam per capacità di dominare fisicamente il reparto, e che Fofana dovrà fare da diga davanti alla difesa e fin qui non si è praticamente visto perché consegnato a Fonseca solo in extremis, però il dubbio che un progetto tattico così non sia la soluzione dei problemi dell’anno scorso viene.
La sensazione è che al momento tra Fonseca e la squadra non sia scoccata la scintilla e che molte delle indicazioni non siano comprese e, di conseguenza, messe in pratica. Problema grave ma risolvibile a patto che il tecnico riesca a guadagnare autorevolezza agli occhi dello spogliatoio. E qui entra in gioco la figura di Zlatan Ibrahimovic. Vederlo scuotere la testa in tribuna come al Tardini non serve a nessuno, tanto meno a Fonseca. Lui ha scelto l’allenatore, lui ha firmato (rivendicandolo) il mercato, lui ha pensato il copione dei prossimi mesi. A lui tocca il compito di spegnere il fuoco della delusione affiancando l’allenatore, anche pubblicamente, e proteggendolo in questo momento chiave della stagione.
Siccome non è nemmeno immaginabile che ci sia un ripensamento sulla figura del tecnico, quello di cui il Milan ha necessità è un ombrello protettivo in vista di settimane che saranno complicate. Il calendario è spietato. La trasferta all’Olimpico contro la Lazio ferita e, dopo la sosta, il derby cerchiato in rosso sul calendario alla data del 22 settembre sono esami senza rete. Onestamente il Milan pare arrivarci impreparato, eppure la posta in palio è enorme. Fonseca si gioca fiducia e posto, Ibrahimovic la credibilità da dirigente plenipotenziario, espressione della proprietà RedBird e uomo così forte a Casa Milan da potersi permettere di dire pubblicamente che nulla si muove, o sta fermo, senza che lui lo autorizzi. Uno slogan carico di suggestioni e responsabilità. Finite le prime, è già tempo delle seconde.