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Che cos'è il payback sanitario e perché per la Consulta è legittimo



«Il payback sanitario introdotto con la finalità dichiarata di rimediare ad una cattiva programmazione e gestione della spesa da parte delle regioni, impone invece un onere sulle imprese che hanno già fornito i dispositivi spesso nell’ambito di gare con ribassi importanti e a stento sostenibili. Di tutto questo la Consulta non si preoccupa».

È questo il commento dell’avvocato Piergiuseppe Venturella, dello studio Tonucci&partners sulla recente pronuncia della Consulta sul "payback sanitario", un sistema che prevede che le aziende fornitrici di dispositivi medici debbano restituire una quota del proprio fatturato qualora la spesa complessiva delle regioni superi i limiti stabiliti. In questo caso la discussa decisione della Consulta dello scorso luglio, impone alle imprese del settore biomedicale la restituzione allo Stato di oltre un miliardo di euro per coprire gli sforamenti della spesa sanitaria delle regioni nel periodo 2015-2018.

Questo provvedimento, concepito per far quadrare i bilanci regionali, rischia di provocare il fallimento di centinaia di piccole e medie imprese, con conseguenze devastanti per l'intero sistema sanitario pubblico. Infatti si prevede che non solo migliaia di posti di lavoro siano a rischio, ma anche che la disponibilità di dispositivi medici fondamentali per il funzionamento degli ospedali possa essere gravemente compromessa.

Dispositivi come valvole cardiache, protesi e bisturi indispensabili per il trattamento di molti pazienti, potrebbero diventare difficilmente reperibili, mettendo a rischio la qualità e la tempestività delle cure.

Le ripercussioni per gli ospedali

Ogni giorno gli ospedali pubblici italiani utilizzano migliaia di dispositivi medico sanitari, dai macchinari per la Tac ai bisturi, dalle siringhe ai respiratori. La fornitura di tutti questi strumenti essenziali per salvare le vite dei pazienti è ora messa a rischio dal meccanismo del payback sanitario.

Il payback sanitario potrebbe mettere in pericolo le sale operatorie e l'intero servizio sanitario nazionale. Centinaia di aziende fornitrici potrebbero ritirarsi dalle gare per la vendita alle strutture pubbliche, riducendo la disponibilità di dispositivi medici e compromettendo la qualità delle cure. Se diventasse effettiva la richiesta di ripagare le eccedenze di spesa, molte aziende potrebbero non essere in grado di sostenere l'onere finanziario, portando a una riduzione della fornitura di dispositivi essenziali agli ospedali. Ad esempio, se un ospedale non può acquistare abbastanza macchinari per la TAC perché i fornitori si ritirano a causa del payback, i tempi di attesa per le diagnosi potrebbero allungarsi, compromettendo la tempestività delle cure. Allo stesso modo, la mancanza di strumenti chirurgici adeguati potrebbe ritardare gli interventi, mettendo a rischio la vita dei pazienti.

Avvocato Venturella quali sono le principali motivazioni che hanno spinto la Consulta a emettere questa pronuncia sul "payback sanitario"?

«La Consulta fonda la propria decisione sul principio costituzionale secondo cui anche l’iniziativa economica privata deve avere una utilità sociale. Secondo la Corte se la finalità non risulta arbitraria e l’intervento previsto non risulta sproporzionato, o comunque tale da svuotare o compromettere l’autonomia organizzativa ed imprenditoriale del privato, sono legittimi misure di solidarietà a carico di una determinata categoria di operatori economici. Con riferimento a questo ordito di norme, principi e precedenti, la Consulta ha ritenuto che il c.d. payback sarebbe una sorta di contributo straordinario a carico delle imprese che forniscono i dispositivi medici a favore delle regioni e che tale misura non sarebbe né arbitraria né irragionevole».

Qual è la base giuridica su cui si fonda la decisione della Consulta, e come si concilia con i diritti delle imprese del settore biomedicale?

«La Consulta certamente riconosce che “il meccanismo del payback presenta criticità con riguardo, soprattutto, alla tutela delle aspettative delle imprese e alla certezza dei rapporti giuridici. Tuttavia, considerate le plurime e rilevanti finalità perseguite dal legislatore, il meccanismo in esame, per come operante nel circoscritto periodo di cui al comma 9-bis, non risulta irragionevole né sproporzionato”. In particolare, secondo la Consulta, sarebbe ragionevole porre a carico delle imprese del settore biomedicale un contributo solidaristico per consentire al Sistema sanitario regionale di continuare ad acquistare tali dispositivi: come a dire che un negoziante che ha venduto un bene di prima necessità ad un consumatore, se quest’ultimo, a fine anno, non avendo saputo bene amministrare le proprie risorse è in deficit, si vedrebbe costretto a restituirgli una parte del prezzo pagato. Inoltre, la Consulta ha ritenuto che la misura del payback sarebbe comunque proporzionata in quanto, a seguito di un successivo intervento legislativo, sarebbe stato prevista una riduzione di quasi la metà del contributo, che la Corte ha esteso anche alle imprese che avevano fatto ricorso, e comunque non sarebbe dimostrato il danno subito dalle imprese. Ciò senza considerare che non solo non si tratta di contributi uguali per tutti ma che non tutte le situazioni solo uguali così che l’impatto è completamente diverso da azienda ad azienda e senza neanche considerare che comunque si tratta di un contributo che si paga oggi e riferito a 9 anni or sono. In ultimo, la Corte ha ritenuto che siccome la prima norma in materia risale al 2015, rimasta inattuata, il fatto che il Legislatore sia intervenuto ex novo nel 2022 per dettare una nuova disciplina questa nuova disciplina non avrebbe effetto retroattivo».

Esistono delle alternative legali o delle soluzioni che le imprese possono perseguire per mitigare gli effetti negativi di questa decisione?

«Purtroppo le Sentenze della Corte costituzionale sono definitive e tutti i tribunali Italiani ne devono fare applicazione. Questo non significa che un Giudice non possa sollevare una nuova questione di legittimità magari individuando nuovi elementi davanti alla Corte costituzionale oppure che si rivolga al Giudice Comunitario dando evidenza che questa disciplina compromette in maniera esiziale la libera iniziativa economica ed in particolare il profilo della certezza dei rapporti giuridici. Un’impresa che vende valvole cardiache non può essere chiamata a ripianare il buco di bilancio di una Regione che ha sbagliato la propria programmazione economica e men che meno se ciò si è verificato per acquisti che non riguardano le valvole cardiache o altri dispositivi, ma ad esempio spese edili o attività di formazione. Magari a Strasburgo avranno una visione più attenta agli imprenditori».

Ci sono stati precedenti simili in cui la Consulta ha dovuto bilanciare interessi pubblici e privati in modo analogo?

«Certamente. Questo, per così dire, è il mestiere della Consulta: verificare se gli equilibri stabiliti dalla Costituzione sono rispettati, ovvero, se in alcuni caso si creano sbilanciamenti e quindi intervenire a tutela della parte debole. La pronuncia della Consulta richiama diversi precedenti tra cui la Sentenza 548 del 1990 in materia di rapporto tra libertà di organizzazione delle imprese di trasporto e tutele della sicurezza, e anche la Sentenza 113 del 2022 in materia di regolamentazione dei rapporti di lavoro ai fini dell’accreditamento delle strutture sanitarie da parte delle Regioni. Ci sono anche altri diversi precedenti che la Consulta richiama per puntellare la propria decisione. La Sentenza 140 del 2024, però in materia di payback, pronuncia ha una motivazione che ad un certo punto soffre un salto logico che certamente lascia qualche perplesità rispetto anche ai suoi precedenti».

L’allarme lanciato dalle imprese

La misura, sebbene mirata a salvaguardare le finanze pubbliche, ha scatenato un acceso dibattito sollevando numerose critiche e preoccupazioni tra gli operatori del settore che si trovano ora a fronteggiare un doppio problema: da un lato, devono far fronte a un esborso significativo per coprire gli sforamenti di spesa, dall'altro, rischiano di vedere compromessa non solo la propria capacità di investimento e innovazione ma anche la propria sopravvivenza. Il mercato dei dispositivi medici in Italia vale 16,2 miliardi di euro tra export e mercato interno e conta 4.546 aziende, con 112.534 dipendenti.

«Questa norma trasferisce 6 miliardi di debito pubblico dai bilanci regionali a quelli di tremila imprese private» spiega il presidente di PMI Sanità, Gennaro Broya de Lucia.

Cosa puoi dirci a riguardo?

«È una legge "spostadebito" concepita durante il governo Renzi per il comparto farmaceutico, ma applicata al settore dei dispositivi medici dal ministro Lorenzin con una copia e incolla e successivamente attivata dall'ex ministro Roberto Speranza nell'agosto 2022. Ma mentre il settore farmaceutico è dominato da poche multinazionali, come ad esempio le Big Pharma, che non hanno difficoltà a restituire le somme previste dal payback, il mercato italiano dei dispositivi medici è composto da migliaia di piccole e medie imprese per le quali la restituzione significa rovina.
Inoltre i crediti delle aziende possono essere prelevati automaticamente per coprire il debito, lasciando le aziende senza flusso di cassa e costringendole a licenziare i dipendenti».

Di che periodo parliamo?


«Il periodo di riferimento per il calcolo del payback è il 2015-2018, ma il debito è continuato a crescere, raggiungendo 6 miliardi di euro. Questo peso finanziario grava principalmente su un mercato composto per l'80% da piccole e medie imprese, a differenza delle grandi multinazionali farmaceutiche, che sono in grado di assorbire meglio tali costi.
La situazione potrebbe portare alla chiusura di molte aziende, impedendo allo Stato di recuperare i soldi dovuti, poiché le aziende non possono pagare più di quanto guadagnano. In alcuni casi, le richieste di payback superano l'80% del fatturato delle aziende, che operano in piena trasparenza»

Quali sono le conseguenze?

«Le conseguenze di questo meccanismo saranno gravi: la mancanza di materiali porterà alla necessità di rifare migliaia di appalti per forniture essenziali (attualmente ce ne sono 10mila in essere) per la fornitura di dispositivi come stent coronarici, valvole cardiache e protesi, perché molte aziende chiuderanno. Attualmente, grazie al codice degli appalti e alla concorrenza, le aziende italiane offrono prezzi inferiori del 30% rispetto alla media europea. Se il mercato sarà dominato dalle multinazionali, i prezzi aumenteranno significativamente. Questa decisione minaccia circa 200mila posti di lavoro e oltre 2mila aziende, principalmente PMI, che riforniscono gli ospedali italiani. Il sistema di payback, introdotto nel 2015 e applicato dal 2022, impone una tassa del 50% sulle aziende del settore per coprire gli sforamenti dei tetti di spesa sanitaria regionale, generando un onere insostenibile di 5 miliardi di euro. Non si può risparmiare sui dispositivi medici, che rappresentano solo il 4,4% della spesa sanitaria, ma sono essenziali per la qualità delle cure».

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