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Licenziati dall'​Intelligenza artificiale



In Italia quasi quattro milioni di persone sono interamente «sostituibili» dall’I.A. Molte altre attività, non soltanto manuali, subiranno cambiamenti profondi o spariranno. Ecco in quali campi - e in che modo - l’automazione sta trasformando il lavoro.

Per ora, l’effetto più evidente dell’intelligenza artificiale generativa sull’occupazione è il fiorire di studi che esaminano proprio quale sarà il suo impatto sul mondo del lavoro. Ce ne sono decine e non tutti arrivano alle stesse conclusioni. C’è chi stima uno sfracello di professioni e altri che prevedono grandi cambiamenti ma senza spargimento di sangue, grazie anche alla nascita di nuove attività. Chi ritiene che i mestieri più colpiti saranno quelli di basso livello e chi invece è dell’idea opposta. E addirittura in alcuni analisti inizia a insinuarsi il sospetto che l’IA sia una bolla destinata a sgonfiarsi, un po’ come è accaduto con il Metaverso o la realtà virtuale.

Ma non è così: questa intelligenza artificiale è tra noi, è decisamente utile ed è destinata ad avere ripercussioni profonde nel nostro modo di lavorare. Essendo in grado di generare testi, immagini, video, musica con livelli di qualità sempre crescente, può già produrre contratti legali, comunicati stampa, relazioni economiche, spot pubblicitari, diagnosi mediche, canzoni, racconti, libri. Giusto per citare due casi recenti: la società di giocattoli Toys «R» Us ha realizzato un video promozionale con l’ausilio della IA generativa, mentre sulle principali piattaforme di streaming è disponibile il brano Basta basta basta cantato da una voce artificiale ma molto umana.

Di conseguenza sono tanti i lavoratori che iniziano a tremare. Ma quante persone e quali professioni sono davvero a rischio? Ci addentriamo in terre inesplorate. Uno studio del Parlamento europeo sostiene che il 14 per cento dei posti nei Paesi dell’Ocse sono automatizzabili e un altro 32 per cento dovrebbe affrontare cambiamenti sostanziali. L’Europarlamento stima un incremento della produttività del lavoro tra l’11 e il 37 per cento entro il 2035 e l’eliminazione di compiti pericolosi o ripetitivi e la creazione di ruoli più complessi e maggiormente retribuiti. Ma vede l’IA incombere anche sui lavori non solo di basso livello, complice la capacità di questo ausilio digitale di automatizzare mansioni non routinarie. Il Fondo monetario internazionale ritiene da parte sua che nelle economie avanzate circa il 60 per cento dei posti di lavoro potrebbe essere influenzato dall’avvento dell’intelligenza artificiale.

Mariasole Bannò (prima Università di Trento, ora Università di Brescia) con Emilia Filippi e Sandro Trento (Università di Trento) hanno condotto un’indagine intitolata Rischi di automazione delle occupazioni: una stima per l’Italia da cui risulta che il personale addetto a contabilità, consegne, casse dei negozi, centralini, portierato e assemblaggio sarebbe tra le categorie professionali più esposte alla minaccia dell’automazione. Figure addette alla scuola dell’infanzia, alla cura e all’assistenza, imprenditori e imprenditrici invece non dovrebbero temere la concorrenza tecnologica. Il risultato è che secondo questa analisi la quota di persone attualmente impiegate ad alto rischio di rimpiazzo nei prossimi 15 anni in Italia varia tra il 33 per cento (7,12 milioni di persone) e il 18 per cento (3,87 milioni).

Più in specifico, la ricerca L’impatto dell’intelligenza artificiale sul pubblico impiego, presentata al Forum P.A. 2024, conclude che 218 mila dipendenti pubblici in ruoli meno specializzati, con compiti ripetitivi e prevedibili, potrebbero essere sostituiti dall’IA. Altri 154 mila dipendenti, incluse molte professioni nei settori sanitario e diplomatico, si trovano in una posizione incerta tra sinergie potenziali e rischi di sostituzione. Meno minacciati sarebbero 1,5 milioni di lavoratori in posizioni di leadership e gestione, che probabilmente trarranno vantaggi dall’IA. «Le professioni ad alta specializzazione come i ruoli direttivi, i dirigenti e i professionisti» si legge nel documento «hanno un forte potenziale di collaborazione, mentre quelle poco specializzate e routinarie sono vulnerabili alla sostituzione, suggerendo la necessità di una riconsiderazione dei ruoli e di una riqualificazione per mitigarne gli effetti».

Ma non tutti concordano sul fatto che l’intelligenza artificiale generativa colpirà soprattutto le professioni meno qualificate. Un’indagine dell’Organizzazione internazionale del lavoro, agenzia dell’Onu, evidenzia che sebbene studi precedenti indicassero i lavori a basso livello di competenza come i più a rischio, in cui un sistema basato su computer poteva essere accoppiato con una macchina per sostituire un umano nei lavori di produzione manuale, la letteratura più recente mostra che i sistemi di «machine learning» possono migliorare le prestazioni anche in compiti non strettamente routinari. Pertanto, nel breve termine, questa nuova ondata di automazione si concentrerà su lavoratori tipicamente associati al «lavoro del sapere». Un documento di OpenAI, OpenResearch e dell’Università della Pennsylvania conferma che l’intelligenza artificiale generativa probabilmente modificherà il lavoro in almeno l’80 per cento delle professioni, con un impatto maggiore sui ruoli che richiedono un’istruzione universitaria.

«Sarebbe la rivincita dei blue collar sui white collar, degli operai sugli impiegati» commenta Rosario Rasizza, amministratore delegato dell’agenzia del lavoro Openjobmetis che vanta 23 anni di attività. «Questa volta una grande innovazione tecnologica coinvolgerà di più i lavori intellettuali che quelli manuali». Rasizza però non è pessimista: «Vedo l’IA come uno strumento che non sottrarrà posti di lavoro ma li modificherà. Come è avvenuto con l’avvento delle linee di montaggio in fabbrica, che non ha ridotto l’occupazione e ha migliorato la quotidianità degli operai. Nella nostra azienda, per esempio, l’IA renderà più rapido lo screening dei curriculum vitae, ma sarà sempre necessario un operatore umano capace di esaminare le competenze dei candidati». Bruno Bernasconi, del Centro studi e ricerche di Itinerari previdenziali, sostiene che «da un punto di vista teorico, l’intelligenza artificiale automatizzerà diversi compiti, creandone però al contempo di nuovi e aumentando la domanda di impieghi grazie agli incrementi di produttività. Il potenziale impatto sul mercato del lavoro, quindi, resta ancora ambiguo, dipendendo da quale effetto sarà quello prevalente».

Naturalmente fa presa sul pubblico affermare che un gran numero di persone si troverà disoccupato a causa dell’IA. Ma in realtà non è corretto parlare di lavori in pericolo ma di «task», cioè di compiti che potranno essere automatizzati, come precisa Giovanni Miragliotta, direttore dell’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano. Per rendere meglio l’idea, gran parte delle attività di un traduttore è a rischio di sostituzione mentre quelle di un muratore sono decisamente più al sicuro. «In teoria» aggiunge Miragliotta «quasi la metà delle ore lavorate potrebbero essere automatizzate. Ma ci sono cinque fattori che frenano l’impatto negativo sull’occupazione: gli investimenti nell’IA sono elevatissimi, il lavoro umano è ancora economico ed efficiente, ci sono vincoli regolatori, i lavoratori ragionano quando svolgono un compito e possono migliorarlo, le aziende usano l’intelligenza artificiale per competere meglio e non per tagliare occupazione».

In sostanza, l’introduzione dell’IA nelle imprese sarà assai graduale. L’Osservatorio si occupa anche delle conseguenze che l’intelligenza artificiale potrà avere sul mondo del lavoro. E nel suo ultimo rapporto prevede che nei prossimi dieci anni in Italia il 18 per cento dei posti di lavoro equivalenti, cioè circa 3,8 milioni di persone, saranno a rischio di rimpiazzo. «Bisogna però considerare che le previsioni demografiche indicano un deficit di 5,6 milioni di posti equivalenti entro il 2033, a causa dell’invecchiamento della popolazione. In questa prospettiva, l’automazione di 3,8 milioni posizioni equivalenti appare quasi come una necessità per risolvere un problema crescente, più che un rischio». Anche Rasizza di Openjobmetis ritiene che in Italia l’introduzione massiccia dell’IA richiederà tempo, visto il tessuto imprenditoriale formato da medie e piccole aziende, meno inclini ad investire in tecnologie avanzate. Uno studio pubblicato sulla rivista Science analizza l’effetto dei modelli Gpt sul mondo del lavoro utilizzando un approccio simile a quello del Politecnico milanese. Gli autori hanno esaminato circa un migliaio di profili professionali, identificando oltre 2 mila attività specifiche e 19.265 compiti complessivi, stimando per ciascuno il livello di esposizione all’IA, ovvero la probabilità che venga automatizzato. Solo l’1,8 per cento delle professioni esaminate rischia una completa automazione, mentre il 18,5 per cento ha un rischio del 50 per cento e l’80 per cento dovrebbe vedere automatizzato il 10 per cento delle proprie mansioni.

È interessante notare che molti lavori intellettuali potrebbero essere significativamente minacciati, tra cui matematici, esperti fiscali, analisti finanziari, scrittori, revisori dei conti, giornalisti, responsabili dei dati clinici, interpreti, ricercatori di sondaggi, esperti di blockchain. I risultati dello studio suggeriscono che le competenze di programmazione e scrittura saranno più influenzate dall’IA generativa, mentre le occupazioni o i compiti che richiedono capacità di pensiero critico lo saranno di meno. «L’influenza si estende a tutti i livelli salariali, con lavori a reddito più elevato che potrebbero affrontare una maggiore esposizione» osservano gli autori che però riconoscono che «considerando ogni attività come un insieme di compiti, sarebbe raro trovare un’occupazione per cui gli strumenti di IA potrebbero svolgere l’intero processo produttivo». Un’importante lezione di questo studio è che l’IA generativa sta trasformando i luoghi di lavoro in modi ancora imprevedibili. Le aziende che sapranno sfruttare la produttività e la potenza dell’IA per innovare e migliorare servizi e prodotti saranno ben posizionate per l’economia del futuro. Altre rischiano, è fatale, di scomparire.

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