Quando Panorama ha incontrato tre mesi fa il regista Ladj Ly, già candidato all’Oscar con I miserabili, storia esplosiva degli scontri tra la polizia e gli abitanti delle banlieue, nessuno avrebbe potuto immaginare il terremoto politico e i risultati a sorpresa delle recentissime elezioni in Francia. Eppure guardare il suo secondo film, Gli indesiderabili, arrivato in questi giorni in sala, equivale a capire in parte da dove proviene il cambiamento recente dell’orizzonte politico transalpino e non solo: «Negli ultimi anni», dice il regista 46enne di origini maliane «c’è stata una radicalizzazione dello scontro, perché chi era di destra e di sinistra ha posizioni sempre più estreme». In mezzo, appunto, ci sono gli abitanti dei quartieri-ghetto di cui non si occupa nessuno e che esprimono la propria rabbia con la violenza o con un’espressione di voto che grida una sola cosa: vendetta. Haby (Anta Diaw) è una giovane donna che lavora come archivista al municipio, vive nella palazzina Numero 5, un edificio fatiscente di edilizia popolare di una periferia parigina abitato da immigrati e famiglie popolose che lei cerca di aiutare come può tra le varie domande di richiesta di ammodernamento. Quando il sindaco del comune muore, viene nominato ad interim il ricco pediatra bianco Pierre (Alex Manenti), piazzato appositamente lì dopo vari loschi consulti per fare approvare velocemente il piano di riqualificazione urbana che prevede l’abbattimento del palazzo. La donna cerca di trovare una soluzione politica, anche se il suo miglior amico Blaz (Aristote Luyindula) deride le sue proteste pacifiche e invoca l’utilizzo della violenza per difendersi dagli interventi della polizia chiamata a sfrattare gli «indesiderabili». Quando si aprono le nuove elezioni a sindaco, Haby decide di sfidare apertamente Pierre, dopo aver capito che anche parlare con il vicesindaco nero Roger (Steve Tientcheu) non può portare a nulla di buono, dato che costui si è totalmente dimenticato delle proprie origini e preferisce sposare la causa degli immobiliaristi, mentre la situazione nel quartiere si fa sempre più tesa. «Quando ho scritto I miserabili mi sono reso conto che non tutte le mie idee potevano essere condensate in un solo film», racconta Ladj Ly «e così ho pensato a una trilogia, con il primo film che affronta il livello dello scontro con la polizia, in particolare la Bac - la Brigata anti criminalità - e il secondo, ambientato dieci anni prima, che alza il tiro allo scontro politico. Il terzo capitolo che sto scrivendo ora sarà il più esplosivo».
Perché dedicarsi così a fondo alla vita delle periferie parigine?
Il desiderio nasce dal fatto che io sono cresciuto nella cittadina ghetto di Montfermeil (dove ha deciso di rimanere a vivere, nonostante il successo, ndr) e volevo raccontare ciò che conoscevo bene. Però nel film ho inventato una cittadina ipotetica perché il problema è molto più ampio di quanto si possa immaginare.
In che senso?
Questo film ha al centro il problema degli alloggi che è esploso in Francia a partire dal 2005, a causa della progressiva «gentrificazione», l’espulsione di chi vive nelle periferie con l’arrivo di abitanti più ricchi. Ma non riguarda solo la Francia, dove ormai sei milioni di persone su 60 di abitanti non riescono a pagare un affitto, è ormai endemico e si è allargato a ogni capitale europea e non riguarda purtroppo soltanto le classi meno abbienti, ma ha contagiato la classe media. Si leggono sempre più storie di persone che non riescono a trovare una casa.
Il film parla anche di una politica sorda ai problemi della gente e che capisce un solo argomento, quello del denaro, con comportamenti ambigui che sfociano nella corruzione.
Ne ho visti tanti sindaci di destra amministrare in questo modo i comuni che fanno parte della «cintura» parigina, e a loro mi sono ispirato per il personaggio di Pierre, che è un uomo freddo e spiacevole. Credo ci siano ancora politici mossi da buone intenzioni e che non sono corrotti, ma purtroppo sta diventando merce sempre più rara. Negli ultimi quarant’anni in Francia la politica si è dimenticata delle fasce più deboli, e questo spiega le violenze o l’espressione di voto sempre più estrema. Però per fortuna forse qualcosa sta cambiando.
Perché?
C’è una nuova generazione di giovani che proviene da questi quartieri che comincia a interessarsi alla politica, al contrario dell’élite che detiene il potere ma non comprende più nulla di dove stia andando il mondo. Perciò ho inserito il personaggio dell’attivista Haby, che cerca nuove strategie per risolvere i problemi.
Tra il momento in cui ha realizzato Gli indesiderabili e l’uscita del film, il clima di sfiducia verso le istituzioni si è aggravato al punto che, proprio come in una scena del film, alcuni sindaci hanno subito attacchi violenti. Cosa ne pensa?
Senza rivelare troppo della scena in questione, posso dire che quando un film finisce per assomigliare alle news che vedi al telegiornale, il parallelo tra finzione e realtà diventa inquietante. Chiaramente mi fa pensare che sono sulla strada giusta e che il compito del cinema è anche di raccontare tutto ciò, ma anche che, non solo in Francia, il problema del rapporto tra i cittadini e le istituzioni si è spezzato. E nessuno sembra sapere come ricucirlo.