La domanda me la pose a bruciapelo qualche anno fa Luca Li Bassi, che in quel momento era direttore generale dell’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco. Ovviamente non lo sapevo. Allora lui mi spiegò: «Li compriamo senza conoscere il prezzo di vendita. Immagini di andare al mercato della verdura, ci sono le bancarelle con pomodori, sedani, carote... Ma non c’è il cartellino con il prezzo. Quest’ultimo viene comunicato di volta in volta nell’orecchio del compratore, che però ha l’obbligo della segretezza. Cioè quel prezzo non deve essere comunicato a nessuno». E che ci guadagniamo noi dall’obbligo della segretezza?, domandai. E lui, sorridendo: «Uno sconto». Ma sconto da cosa, se non sappiamo qual è il prezzo? «Infatti» sorrise ancora lui. E concluse: «Ogni compratore, in un mercato del genere, è convinto di avere avuto il prezzo più basso. Cosa ovviamente non vera: le pare possibile che tutti possano avere avuto il prezzo più basso?».
Sono passati alcuni anni da quel colloquio. Luca Li Bassi non è più direttore generale dell’Aifa, ha avuto vita breve come tutte le persone perbene. In compenso la segretezza sul prezzo dei farmaci resiste. Inossidabile. Inaffondabile. Ancora oggi ogni Stato non sa qual è il prezzo a cui viene venduta una medicina negli altri Paesi. Alla faccia della trasparenza. E alla faccia della concorrenza, che evidentemente non può esistere senza trasparenza. Tutto ciò, per altro, nonostante una direttiva europea, approvata (pensate un po’) nell’anno d’oro 1989, che prevedeva proprio l’abolizione della segretezza sul prezzo dei farmaci. Avete capito bene: 1989. C’erano ancora il Muro di Berlino e il governo Andreotti. Entrambi sono caduti da 35 anni. Il prezzo segreto dei farmaci invece no. Quello non crolla mai.
Mi fanno ridere i colleghi editorialisti dei grandi giornali che s’indignano ogni giorno perché non si applica la concorrenza nel settore dei taxi o delle spiagge, demonizzando le «pericolose lobby» dei balneari e dei tassisti. Nessuno di loro che abbia mai speso una parola sulla vera lobby, potente sul serio, quella di Big Pharma che da 35 anni blocca la norma sulla trasparenza dei prezzi delle medicine. E ciò nonostante un’ulteriore risoluzione del Parlamento europeo, approvata nel 2017 per «sollecitare l’applicazione della direttiva del 1989» (cosa già di per sé piuttosto buffa: dopo 30 anni che una norma viene calpestata non si trova di meglio che «sollecitare l’applicazione»?). E nonostante un’altra risoluzione, approvata nel 2019 dall’assemblea generale dell’Organizzazione mondiale della sanità dello stesso tenore. Niente da fare. Questa norma non s’ha da applicare. Si può svelare il mistero di Fatima. Non quello del prezzo dei farmaci.
Ovviamente nel mistero le aziende farmaceutiche sguazzano. E guadagnano. Proprio come è successo con i vaccini anti Covid, il cui prezzo d’acquisto ufficiale è sempre stato segretato, insieme a tutte le più importanti clausole contrattuali (oltre che ai messaggi scambiati dalla presidente della Commissione europea con il ceo di Pfizer). Si tratta dei nostri soldi, si tratta della nostra salute. Ma tutto deve essere immerso in una selva oscura, in cui la diritta via è smarrita da un pezzo. «Quando ci troviamo alle riunioni generali, noi direttori dei vari enti nazionali, io italiano, con quello francese e tedesco», mi raccontava sempre Li Bassi, «verrebbe naturale chiedere: tu quanto hai pagato quel farmaco? Ma non possiamo farlo, perché siamo legati a clausole di segretezza. E c’è da ridere: a tutti noi, infatti, è stato detto che abbiamo pagato il prezzo più basso. E tutti sappiamo che non è vero».
La motivazione ufficiale delle aziende farmaceutiche è che la segretezza dei prezzi favorisce i Paesi più poveri, cui vengono applicate clausole di favore. Si tratta di una penosa bugia, come dimostrato di recente da un’inchiesta di Investigate Europe, pubblicata dal Fatto quotidiano, relativa al Kaftrio, medicinale contro la fibrosi cistica: nella Repubblica ceca il suo prezzo è quasi il doppio rispetto a quello praticato in Francia, in Lituania più del doppio di quello praticato in Italia...
La verità è che, alla fine, con la segretezza guadagna sempre solo Big Pharma. Infatti: fra il 2000 e il 2018 il profitto medio delle imprese quotate nell’indice S&P 500 è stato del 37,4 per cento mentre per le aziende farmaceutiche è stato del 76,5 per cento. In altre parole: il business dei farmaci rende il doppio rispetto agli altri. E questo anche perché viene tutelato da quel mistero (poco) gaudioso del prezzo che mette i compratori in posizione di subalternità rispetto ai venditori: «Se i Paesi conoscessero i prezzi, riuscirebbero a farli scendere», ha detto il farmacologo Silvio Garattini. Ma è proprio questo che le aziende farmaceutiche vogliono evitare. Perciò, nonostante direttive e risoluzioni, sul mercato dei farmaci si continua a comprare alla cieca, esattamente come in quell’ipotetico mercatino della verdure dove vengono esposti, senza cartellino, pomodori, sedani, carote. E, soprattutto, enormi cetrioli.