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Greco: «La tecnologia al servizio dell’uomo, non il contrario»



Si respira un’atmosfera a metà tra Silicon Valley e Palo Alto tra le colline di Arcavacata, alle porte di Cosenza, in quel campus universitario ideato nei primi anni Settanta sul modello di quelli americani e che ha avuto tra i promotori economisti di razza quali Beniamino Andreatta e Paolo Sylos Labini, che calabresi non lo erano neppure lontanamente. Qui, tra gli avveniristici Cubi progettati da Vittorio Gregotti, protagonista assoluto della scuola milanese dell'architettura italiana del Novecento, che trovò terreno fertile per fondere architettura e paesaggio, si sta giocando una delle partite più importanti in fatto di ricerca informatica ed intelligenza artificiale a livello internazionale: al punto che Georg Gottlob, professore viennese di Informatica ad Oxford e “Fellow” del prestigioso St John's College -unanimamente riconosciuto come uno dei massimi studiosi al mondo della scienza dell’informazione- è passato, lo scorso settembre, dalle austere aule oxfordiane ai Cubi dell’Università della Calabria. Una “chiamata internazionale”, ovvero un bando aperto a docenti stranieri, si è detto, ma è certo che se l’illustre docente ha attirato l’attenzione dei media internazionali, è stato anche per i rapporti già consolidati con un gruppo di docenti tra i quali il rettore Nicola Leone, il direttore dei Dipartimento di matematica e informatica Gianluigi Greco e il prorettore Francesco Scarcello, con i quali ha già in comune l’aver ricevuto l’autorevole EurAI Fellowship, il prestigioso riconoscimento assegnato dalla European Association for Artificial Intelligence agli studiosi capaci di innovare la ricerca e lo studio nel campo dell’intelligenza artificiale. Gianluigi Greco, appunto: direttore del dipartimento di Matematica e Informatica, da gennaio 2022 presidente dell’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AIxIA), nata nel 1988 e punto di riferimento di oltre 2000 professori e ricercatori di Università e centri di ricerca pubblici e privati. E dallo scorso ottobre anche coordinatore del Comitato voluto dal sottosegretario all’Innovazione tecnologica, Alessio Butti, con l’obiettivo di indirizzare il governo nella definizione di una strategia nazionale sull’Intelligenza artificiale.

Professore, dell’Intelligenza artificiale si occupa finalmente anche la politica.

«Lo scorso novembre il governo ha ragionato su come procedere all’aggiornamento della strategia italiana per l’intelligenza artificiale: forte della tradizione del nostro paese in materia, è stato costituito un tavolo per disciplinari, dall’informatica al diritto, dall’etica allo sviluppo imprenditoriale e aziendale e la Presidente Giorgia Meloni, per il tramite del sottosegretario Alessio Butti, ha chiesto a me di guidare questo comitato, il cui scopo è stato quello di produrre un documento che definisca le prospettive di sviluppo dell’I.A. in un orizzonte temporale che va sino al 2026».

Il nostro paese si allinea, anche istituzionalmente, agli standard internazionali, pare di capire…

«Stiamo lavorando alacremente: il Comitato si sta impegnando in un settore che si muove tra ricerca scientifica e attenzione dell’opinione pubblica, e gli esiti sono già stati presentati pubblicamente in vari autorevoli consessi, ma l’aspetto più importante che terrei ad evidenziare sta nella circostanza che molte delle iniziative del Governo in materia sono assolutamente inquadrabili nelle linee-guida che stiamo contribuendo a sviluppare. Il Comitato, insomma, è costantemente a disposizione della Presidenza del Consiglio dei Ministri per qualunque necessità di approfondimento, indagine e aggiornamento: il contributo è significativo in termini sia scientifici che di comunicazione pubblica, in un momento storico in cui si parla a tutti i livelli di Intelligenza artificiale».

A proposito, la materia non è certo dei giorni nostri…

«Lo studio dell’Intelligenza artificiale non parte certo in questi anni, come apparentemente sembrerebbe, visto il clamore mediatico che la circonda, ma affonda le sue radici praticamente negli anni Cinquanta: il termine venne coniato nel 1955 dall’informatico statunitense John McCarthy che l’anno dopo, insieme ad altri scienziati, organizzò nel New Hampshire, il “Dartmouth Summer Research Project on Artificial Intelligence” che segnò l’inizio degli studi in materia».

E di cosa di occupa?

«La disciplina ha come obiettivo essenziale quello di capire se le “macchine” -cioè i computer dotati di particolari software- siano in grado di simulare alcune caratteristiche tipiche del comportamento umano o, addirittura, della sua stessa intelligenza. Ma l’obiettivo in sé non è ovviamente quello di sostituire l’essere umano o di capire se l’intelligenza umana e le capacità cognitive possano essere sostituite da un computer. Questa confusione nasce anche dalla scelta di un nome non proprio corretto, tanto che lo stesso Alan Turing, uno dei padri dell’informatica mondiale, non parlava affatto di intelligenza artificiale. A me piace definirle tecnologie che aiutano a migliorare l’automazione, che possono avere anche alcune forme di autonomia decisionale, ma che, ovviamente, devono essere utilizzate come mezzo al servizio dell’uomo, e non rappresentandone un fine…».

Professore, ci perdoni, sembra ascoltare Adriano Olivetti…

«Come dimenticare la lezione del grande imprenditore piemontese, la cui filosofia del lavoro continua ad essere attuale ed oggetto di studi scientifici: noi dobbiamo pensare la tecnologia al servizio dell’uomo, e non gli uomini al servizio della tecnologia. Tutti noi, infatti, -e direi soprattutto gli informatici…- che più mettono mano in queste tecnologie, devono avere ben cosciente qual è l’orizzonte entro cui muoversi e dal quale non doversi mai allontanare, superandolo. Insomma, un orizzonte che vede macchine di tale portata messe al servizio dell’uomo e della società».

Pensiamo che particolare sia anche il suo approccio accademico: cosa sta registrando in questi ultimissimi anni da docente e da ricercatore?

«Sono partito insegnando Informatica e ho dovuto adattare negli anni il mio settore scientifico alle nuove esigenze didattiche, di ricerca e di cambiamento sociale, circostanza che credo sia sotto gli occhi di tutti, almeno da quando il termine “Intelligenza artificiale” è entrato nel linguaggio comune. Oggi, per la precisione, insegno “Deep learning”».

E qui le chiediamo di fare il docente: di cosa si tratta?

«E non mi sottrarrò a tale compito! Il motivo del grande clamore di questi anni, legato all’intelligenza artificiale, sta tutto nella scoperta che le reti neurali artificiali, ovvero i sistemi che simulano in qualche modo le connessioni neurali umane, possano essere utilizzate molto efficacemente per compiti quali il riconoscimento di immagini o di suoni. E una decina di anni addietro abbiamo scoperto che tali reti necessitavano di una maggiore complessità: Deep learning, che tradotto vuol dire “apprendimento profondo”, è un metodo di Intelligenza artificiale che insegna ai computer ad elaborare i dati ispirandosi praticamente ai meccanismi utilizzati dal cervello umano».

E quali sono le applicazioni?

«In ambito sanitario, soprattutto e i risultati ci dicono che l’assistenza di questi sistemi sta diventando sempre più un elemento indispensabile per una corretta diagnosi medica. Li definisco dei potentissimi microscopi di cui dobbiamo necessariamente conoscere i meccanismi di funzionamento e di cui dobbiamo dotarci. Nel mio corso di “Deep Learning” insegno agli studenti a progettare questi sistemi».

Incuriosisce l’approccio dei suoi studenti…

«In Italia avevamo già corsi che sfioravano l’Intelligenza artificiale, ma erano quelli dedicati all’Informatica o all’Ingegneria informatica. All’Università della Calabria -uno dei pochi casi in Italia- possiamo invece contare su un intero Corso di laurea magistrale dedicato alla disciplina, che si salda con lo stesso curriculum frequentabile sin dalla laurea triennale. Insomma, gli studenti hanno la possibilità di confrontarsi con l’Intelligenza artificiale sin dai loro 19 anni, con grande entusiasmo, poiché la loro “natività digitale” li fa sentire a proprio agio. E lo stesso capita a noi docenti, visto che ci interfacciamo con chi può contare già su una propria base informatica, tra Internet e utilizzo massivo dei Social network».

L’orizzonte lavorativo non è da trascurare…

«Direi essenziale, soprattutto in una regione come la Calabria: noto ormai da tempo la personale motivazione degli studenti a costruirsi il loro futuro lavorativo, che rimane pur sempre l’aspetto più “socialmente ed economicamente” interessante. Parliamo tanto di rischi sul mondo del lavoro, ma dimentichiamo che in questo momento storico registriamo una forte carenza di posizioni inquadrate in questo specifico settore disciplinare, di tecnici competenti, cosa che limita di molto lo sviluppo del nostro tessuto produttivo imprenditoriale. Abbiamo bisogno di giovani che investano sulle proprie competenze, senza farci trovare impreparati dalle sempre più pressanti richieste del mercato».

E’ una bella soddisfazione anche per la sua terra d’origine…

«Deve mutare l’immagine contemporanea della Calabria e noi all’Unical ce la stiamo mettendo tutta, non foss’altro per i risultati che stiamo conseguendo anche a livello internazionale. Essere stato nominato, nel 2022, primo presidente calabrese dell’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale, che dal 1988 aveva una concentrazione nel Centro-Nord, ha significato che qualcosa stava e sta cambiando anche nella geografia del potere scientifico del nostro paese. E la conferma l’abbiamo avuta quando il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega all'innovazione tecnologica nel governo Meloni, Alessio Butti, ha inteso evidentemente premiare i nostri sforzi accademici nominandomi alla guida della task force governativa per l'intelligenza Artificiale».


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