Novak Djokovic ha iniziato la nuova stagione rifilando un doppio 6-3 prima a Rinky Hijikata e poi a Gael Monfils, raggiungendo i quarti di finale all’ATP 250 di Brisbane 2025. Segnali positivi dunque sin qui per il fenomenale 37enne serbo in vista degli Australian Open, primo Major dell’anno in programma a Melbourne dal 12 al 26 gennaio.
Nel match odierno contro Monfils, il fuoriclasse di Belgrado ha convertito tutte e tre le palle break che ha avuto a disposizione: “Vuoi mandare un segnale, a te stesso e agli altri, in cui dici che sei in grado di trasformarle quando si presenta l’occasione di farlo. So di avere una buona reputazione con la mia risposta, ma poi occorre saper tirare anche gli altri colpi e continuare a mettere pressione sul tuo avversario. Oggi la risposta ha funzionato benissimo, ovunque mettessi la mia racchetta riuscivo a continuare a farlo giocare e questo ha messo pressione sul suo servizio, fondamentale dove lui oggi ha fatto registrare delle ottime percentuali. A volte capita di prender più campo in risposta di quando si è al servizio e occorre abituarcisi. E quando si presentano delle occasioni, che si tratti di un tie-break o anche prima, bisogna mettere pressione al tuo rivale. Ed è quel che sono riuscito a fare per la maggior parte della mia carriera“.
Sulla preparazione verso la prossima partita contro il big server americano Reilly Opelka: “Ognuno di noi cerca di prepararsi in vista di un match nel modo migliore. C’è chi preferisce avere meno informazioni possibili sul suo prossimo rivale e chi invece adora scendere nei dettagli. Io appartengo a questo gruppo. Mi piacciono i dati, in particolare la video analisi. Mi piace provare a capire quale sia il piano di gioco adottato da chi dovrò affrontare. Credo che si possano ottenere molti benefici dall’analisi dei dati. La chiave ovviamente sta nel riuscire poi a trasferirli in campo. Tutti riescono a leggerli i dati, ma come si riesce a tradurli in modo efficiente una volta scesi in campo? A me piace tenere bene a mente quel che dovrò fare o ciò di cui avrò bisogno, quel che il mio avversario sa far bene e le cose dove invece non eccelle. Ma questo è un lavoro molto più semplice rispetto a quello che faccio nelle settimane precedenti a un torneo dove invece smonto letteralmente il mio gioco e quello degli altri giocatori per cogliere tutte le sfumature che potrebbero aiutarmi“.
Sulla presenza della sua famiglia in Australia: “Sono rimasto sorpreso quando mia moglie mi ha detto che avrebbe voluto portare i bambini in Australia. Non me l’aspettavo perché so che è un viaggio molto lungo, ci sono la scuola e tante altre sfide che come genitori dovremo fronteggiare. Io qui ho le mie cose da fare: se devo giocare trascorro il tempo preparandomi per il match ed è lei a prendersi cura di loro. Ma lei è qui per sostenermi e per darmi insieme ai bambini quell’affetto e quell’energia di cui ho bisogno per giocare il mio miglior tennis. Fin qui sta funzionando molto bene, in campo sto bene e sto giocando alla grande. Mi consente anche di non sentirmi in colpa per un’assenza che altrimenti sarebbe stata molto lunga. È una sensazione che in passato quando sono venuto in Australia ho provato, devo ammetterlo. Restavo lontano da casa quattro o cinque settimane e ogni volta che ci salutavamo c’erano lacrime e pianti e poi inizi a chiederti il perché tu debba continuare a farlo ancora e ancora. Così invece è tutto più semplice e sono ancor più motivato e sereno. Trascorro del tempo di qualità con loro e questo mi consente di non pensare tutto il giorno al tennis e di allentare un po’ la pressione. E fin qui si sta rivelando un ottimo equilibrio“.