Un errore non si cancella, ma può rappresentare un monito. Può cambiare l’animo di una persona, renderla migliore. La vita di Riccardo Riccò non è stata di certo una passeggiata. Ha sbagliato e sofferto tanto. Da grande promessa del ciclismo, la sua carriera è stata stroncata proprio nel momento in cui sembrava in procinto di poter spiccare il volo. La positività al CERA al Tour de France 2008, un nuovo inizio, la luce in fondo al tunnel e infine il buio definitivo della squalifica a vita.
Sono trascorsi ormai tre lustri da quelle vicissitudini. Ne è passata di acqua sotto i ponti, e l’emiliano oggi è un uomo diverso, in pace con se stesso, che ha trovato un equilibrio interiore. Ha avviato una attività imprenditoriale che si sta rilevando redditizia e foriera di soddisfazioni. Sa di aver commesso degli errori, non può negarlo e, soprattutto, non può tornare indietro. Se d’altronde l’ordinamento penale e penitenziario italiano si basano su un principio cardine, che è quello della rieducazione del condannato, volta ad un suo reinserimento sociale, perché lo sport dovrebbe differenziarsi? Riccardo Riccò è stato giudicato e ha pagato duramente le sue colpe. Con coraggio è ripartito da zero in un contesto a lui completamente avulso. Ed oggi gli piacerebbe anche parlare ai giovani della sua esperienza, aiutandoli ad evitare di sprofondare nell’abisso in cui ha vissuto.
Come procede la tua attività con le gelaterie e la Academy?
“Abbiamo iniziato con la gelateria a Vignola, poi abbiamo creato una sorta di Accademia dove insegniamo, tra le altre cose, cake design. Ho già insegnato il mestiere a diversi ragazzi. La Academy si trova sempre nella sede di Vignola, ho tanto spazio a disposizione in laboratorio. A marzo 2023 ho aperto poi un’altra gelateria a Rocca Malatina, a circa 10-12 km da Zocca, il paese dove abita Vasco Rossi. Abbiamo rilevato una precedente attività e siamo molto contenti“.
Sono trascorsi ormai tanti anni da quando eri corridore. Ti piacerebbe avere una chance per tornare nel mondo del ciclismo in un’altra veste?
“Mi piacerebbe, assolutamente sì, soprattutto a livello giovanile e dilettantistico. Nel mondo del professionismo, sinceramente, non avrei delle grandi motivazioni come direttore sportivo. Mi piacerebbe insegnare ai giovani cosa fare per non sbagliare come ho fatto io. Una persona col mio passato, nel bene o nel male, può insegnare molto di più rispetto a chi non ha avuto un passato come il mio. Sbagliando si impara. Chi non ha fatto errori, cosa può insegnare a un ragazzino? Non ha passato quello che ho passato io. Potrei insegnare come seguire la strada giusta“.
Che idea ti sei fatto di questo ciclismo in cui tanti corridori sono in forma per tutto l’anno? Ai tuoi tempi c’era molta più specializzazione: si è tornati un po’ agli anni ’70?
“È un ciclismo molto più esasperato. Rispetto a quando c’ero io, che la maturazione avveniva di regola tra i 27-28 anni e durava fino ai 32, adesso si comincia ad andare forte a 20, ma a 30 smettono già. Tutto è più breve. Adesso abbiamo cinque i corridori che vanno forte tutto l’anno, gli altri sono delle comparse. Tanti dicono che il livello è alto, per me invece è bassissimo. Era più alto una volta, perché c’erano 30-40 corridori che potevano vincere. Adesso ci sono quei cinque che si girano tutte le corse. Il mio era un ciclismo più bello da seguire, perché più incerto. Adesso non si scappa da quelli“.
Pogacar ha un divario tale sugli avversari che la vittoria sembra già assegnata a qualsiasi corsa si presenti. In passato lo sloveno si è trovato costretto a rispondere a domande dei giornalisti inerenti il doping, assicurando sulla sua onestà. Qual è la tua idea in proposito?
“Quando ad Armstrong veniva chiesto se le sue prestazioni fossero pulite, rispondeva di sì: è logico che sia così, cosa potrebbero rispondere? Pogacar deve rispondere così, fino a prova contraria ha ragione lui e nessuno può dirgli niente. Se andiamo a guardare i wattaggi, dal punto di vista scientifico le sue prestazioni sono inumane. Talmente tanto che qualche dubbio mi viene (sorride, ndr)“.
A volte ripensi come sarebbe potuta essere la tua carriera?
“Li ho fatti mille volte questi pensieri. Sicuramente, guardando quello che ha fatto Nibali, io non ero inferiore, anzi forse ero anche più forte. Purtroppo a causa del mio carattere non ci sono riuscito e non ho trovato persone giuste di cui fidarmi, a parte Santuccione che poi ho dovuto abbandonare. A livello di doti, penso che Nibali ne avesse meno rispetto a me“.
Il ciclismo, che era lo sport più popolare in Italia nel Dopoguerra, continua a perdere sempre più appeal: sei sorpreso?
“Purtroppo la Federazione e il Coni intralciano un po’ i corridori, non li lasciano tranquilli, c’è un po’ una caccia alle streghe. All’estero vengono lasciati un po’ più tranquilli. In caso di intercettazione, se secondo loro parli di doping, vieni squalificato anche solo su delle supposizioni e senza nessuna prova. Io l’ho provato sulla mia pelle. È difficile fare il corridore in Italia“.
Qualche giovane si sta facendo vedere, come ad esempio Tiberi, Pellizzari e Finn. Che idea ti sei fatto di loro?
“Speriamo, perché ce n’è bisogno. Dopo Nibali c’è stato il vuoto. In Italia i corridori di riferimento sono Ciccone e Bettiol, che non sono però di primissimo livello. Aspettiamo Pellizzari e Finn. Tiberi secondo me non è una prima punta, non arriverà mai a vincere un Giro d’Italia. Lo considero un ottimo corridore, da podio, ma non da vittoria“.
Tornassi indietro, qual è l’errore che eviteresti di ripetere?
“Non essermi affidato ad un grande preparatore, come potevano essere Ferrari o Cecchini. Avrei dovuto avere delle persone al mio fianco che mi fermassero. Al posto di darmi del gas, dovevano invece togliermelo, perché ero ambizioso e volevo essere competitivo tutto l’anno. Dovevo prendermi i miei periodi di tranquillità. Avevo talmente tanto amore per il ciclismo che volevo solo vincere, non mi interessavano i soldi“.
Anche perché il ciclismo non ti ha dato la ricchezza.
“Per niente. La maggior parte delle volte non mi hanno pagato. Alla Flaminia, dopo la squalifica al Tour, avevo un contratto da mezzo milione di euro e ne devo ancora avere 400000. Non gli ho fatto causa e so che non li avrò mai“.
Qual è la persona che più ti ha fatto sentire tradito?
“Non ce n’è una, tanto sapevo com’era il ciclismo. Se ti beccano, rimani solo come un cane“.
A tuo figlio consiglieresti di lasciar perdere il ciclismo, se ti chiedesse di praticarlo?
“No, sarei contento se volesse fare ciclismo. Mio figlio ha 15 anni, ma fa tutt’altro. Il ciclismo è uno sport bellissimo, che mi ha insegnato come si sta al mondo e a fare sacrifici, è una scuola di vita. Poi quando iniziano a girare i soldi, o ti adatti e pieghi la testa o vieni fatto fuori“.