C’è chi si è commosso, domenica 22 dicembre, nel vedere Tarjei Bø vincere la mass start di Le Grand Bornand. Chi scrive parla in prima persona, perché tale è stato il sentimento di sorpresa nel momento in cui ha scoperto il risultato della partenza in linea tenutasi sulle nevi francesi.
È stato appreso solo l’esito, inizialmente. Si era in altre faccende affaccendati, ovverosia la contemporanea telecronaca della gara di salto con gli sci femminile di Engelberg (poi cancellata a causa del maltempo dopo 48 dei 55 salti necessari per completare una serie). Dunque un asettico testo di un pdf ha generato un’emozione inaspettata.
“1 BOE Tarjei” recitava il file pubblicato sul sito Ibu. “Ma come? Ma davvero?” ha subito pensato il sottoscritto. Non pareva possibile che il vecchio leone avesse ruggito così poderosamente dopo un inizio di stagione affannoso. “Questa la devo recuperare”. Come il proverbiale San Tommaso, se non avessi constato con gli occhi, non avrei creduto al semplice verdetto testuale.
Vista la gara, una volta terminati tutti gli impegni di giornata, la sorpresa si è tramutata in una vena di commozione. Sarà l’età non più verdissima di chi butta giù queste righe; sarà il fatto che Tarjei Bø è l’ultimo della “vecchia guardia” ancora competitivo, espressione di quella sensazionale classe 1988 senza eguali nella storia del biathlon maschile; sarà il periodo natalizio. Sarà quel che sarà, ma è semplicemente stato bello rivedere il trentaseienne norvegese davanti a tutti.
Perché lui, volente o nolente, agli occhi “della gente” rimarrà per sempre “l’altro Bø”, derubricato a “quello scarso” della famiglia. Se “scarso” si può definire chi è salito sul podio 69 volte in carriera, numero che sotto questo punto di vista lo pone al settimo posto all-times.
Fermo restando che si ragiona su una stortura concettuale figlia dell’economia di pensiero, quello di Tarjei resta il gramo destino di chi condivide cognome e DNA con Johannes, che se non diventerà il più grande di sempre, è già stato di sicuro il più dominante rispetto alla concorrenza.
Quel fratello annunciato quasi tre lustri orsono proprio dal diretto interessato, all’epoca in cima al mondo. Stringendo fra le mani la Sfera di cristallo 2010-11 disse ai media norvegesi: “Sono contento di averla vinta, perché poi arriverà mio fratello, e lui è molto più forte di me”.
Sguardi perplessi tra gli ascoltatori. “Come può essere suo fratello molto più forte di lui? Se così fosse, ci troveremmo di fronte a un mostro. È inconcepibile”. Invece i fatti hanno dimostrato come Tarjei non stesse esagerando. Emil Hegle Svendsen, suo compagno di squadra e amico, annuiva sconsolato. “Quando arriverà Johannes, ci prenderà tutti a calci in c..o” aveva aggiunto.
Pochi ci credevano. Tutti si sono dovuti ricredere. Proprio quel fratello Johannes, che lo ha accompagnato sul podio ieri, è stato il primo a commuoversi per il successo di chi è al suo fianco da sempre, la cui carriera è stata troppo spesso segnata da malanni di ogni tipo (una devastante infezione polmonare patita nel 2012 ha condizionato in negativo rendimento e salute per anni, caratterizzate da numerose ricadute).
La vita ha generato un’autentica “storia natalizia”, nella speranza che possa essere l’inizio di un racconto ancora più articolato, destinato a concludersi con un lieto fine ad Anterselva, nel febbraio 2026. Chissà se in quei giorni, Tarjei riuscirà a mettersi al collo quell’oro olimpico individuale che ancora manca al suo palmares. Sarebbe splendido, soprattutto se al suo fianco, sul podio, ci fosse Johannes. Allo sceneggiatore supremo il compito di tracciare gli eventi affinché questo si possa verificare davvero.