Nel biathlon, il tiro avviene tramite una carabina. Un’arma, dunque, a ricarica manuale. Non si direbbe, a giudicare da quanto fatto dal norvegese Martin Uldal nel weekend. Il ventiduenne scandinavo ha difatti strabiliato il circuito di Coppa del Mondo più per la rapidità con cui ha chiuso una sessione di tiro che per i suoi tonitruanti risultati all’esordio assoluto (settimo nella sprint e quinto nell’inseguimento di Hochfilzen).
Uldal ha difatti completato un poligono con il sensazionale tempo di 12”9. Ha impiegato 5”5 per rilasciare il primo colpo, dopodiché sono trascorsi sempre tra il 1”1 e il 1”7 fra la ricarica e la pressione sul grilletto! Sia chiaro, non ha sparato a casaccio, bensì con cognizione di causa. Il ragazzo ha colpito quattro bersagli su cinque, impressionando (e spaventando) la concorrenza con la sua performance.
Oltre a un innato talento naturale, c’è dello studio dietro a quanto realizzato. La posizione con cui viene imbracciata la carabina approcciandosi alla piazzola di tiro è particolare e innovativa. Non a caso, il video della sua impresa ha letteralmente fatto il giro del web.
Quanto accaduto apre un’interessante tema di riflessione. È questo il futuro del biathlon? Provocatoriamente parlando, si potrebbe dire che si abbandona la carabina per imbracciare il mitra. Si parla concettualmente, sia chiaro. Però 12”9 significa portarsi verso tempistiche da armi automatiche, non manuali!
Con l’avvento del XXI secolo, la rapidità di sparo associata alla precisione è diventata sempre più importante (fu uno dei segreti del successo di Martina Glagow, ormai due decenni orsono, ma rappresenta anche le fondamenta su cui Dorothea Wierer ha edificato gran parte delle sue fortune).
È eclatante quanto ci si stia avvicinando sempre di più al limite delle possibilità umane, perché sinora vedere un poligono completato nell’ordine dei 18” rappresentava l’eccellenza assoluta. Ora, invece, ci si sposa viepiù verso l’estremizzazione della rapidità di sparo, con tutti gli annessi e connessi de caso. Uldal resterà un fenomeno isolato, oppure diventerà il prototipo del biathleta del futuro? La risposta arriverà da qui al 2030.