Nel mese di febbraio dovrebbe andare in archivio in un modo o nell’altro l’intricato caso di Jannik Sinner. Il n.1 del mondo tennis, positivo in due circostanze al Clostebol, dovrà rispondere al TAS, dopo che la WADA ha deciso di riaprire il “fascicolo”. In primo grado, infatti, Sinner era stato completamente scagionato dalle accuse al termine del procedimento avviato dall’ITIA (International Tennis Integrity Agency).
L’Agenzia mondiale dell’antidoping ha fatto appello al Tribunale Arbitrale dello Sport per un discorso di “negligenza” (richiesta di uno/due anni di squalifica), in quanto è acclarato per quanto è stato dimostrato che Jannik non si sia dopato, valutando anche le quantità infinitesimali della sostanza trovata nel suo organismo. Una storia arcinota in cui Trofodermin usato dal fisioterapista Giacomo Naldi, per una ferita a un dito, ha finito per “contaminare” anche Sinner, visto il massaggio applicato da Naldi sul corpo del tennista.
Ebbene, il tutto è stato “ravvivato” dalla positività alla trimetazidina della n.2 del mondo, Iga Swiatek, sospesa per un mese e anche per lei si parla di contaminazione accidentale, seppur secondo modalità diverse, trattandosi di un farmaco. I giudici le hanno riservato quindi un “rimprovero a titolo di colpa”. Tiene banco, quindi, la questione “contaminazione”.
A esporsi è stato il direttore generale della WADA, Olivier Niggli, intervistato da L’Equipe: “Oggi esiste un problema di contaminazione. Questo non significa che ci siano più casi del genere rispetto al passato, il fatto è che i laboratori sono più efficienti nel rilevare anche quantità infinitesimali di sostanza. Le quantità sono così piccole che ci si può contaminare facendo cose innocue. La verità è che sentiamo un sacco di storie e capisco l’opinione pubblica che può arrivare a pensare che assumiamo di tutto“, ha dichiarato.
Pertanto, ci potrebbe essere una revisione del sistema antidoping del tennis professionistico: “Con delle soglie non avremmo visto tutti questi casi. Quello che dobbiamo comprendere è se siamo pronti ad accettare il microdosaggio e dove sia giusto fermarsi. Proprio per questo tipo di riflessioni verrà creato un tavolo di lavoro“.
Una presa di posizione che alimenta, però, ulteriori dubbi sulla consistenza del ricorso fatto da WADA al TAS sul caso Sinner. Se l’Agenzia stessa si dichiara aperta a considerare la questione dei microdosaggi al fine di evitare procedimenti che poco possono portare alla lotta al doping in senso stretto, ciò va in aperta contraddizione con la richiesta di una pena da uno a due anni per una negligenza tutta da dimostrare.