Il match mondiale di scacchi 2024 è tra Ding Liren e Gukesh Dommaraju, ma prima del cinese e dell’indiano c’è una lunga, anzi lunghissima storia da ricordare. Un racconto che parte addirittura dal 1886 e che di momenti travagliati ne ha vissuti parecchi.
Prima del 1886 c’erano stati vari match che non avevano il titolo di Campione del Mondo in palio, ma, sebbene i due contendenti fossero effettivamente i più forti del tempo, non c’era realmente qualcosa in palio, come non c’era nei tornei che si proponevano di rendere noto quale fosse il miglior scacchista al mondo. Nell’anno citato, invece, tra New York, St. Louis e New Orleans, dall’11 gennaio al 29 marzo, si consumò la prima sfida realmente iridata tra Wilhelm Steinitz, che era cittadino dell’impero austro-ungarico, ma che volle la bandiera americana al fianco (sarebbe diventato cittadino a stelle e strisce poco dopo) e Johannes Zukertort, nato a Lublino, in Polonia, ma diventato cittadino britannico dopo il 1878 (e morto giovane, appena due anni dopo il match). Vinse Steinitz arrivando per primo alle 10 vittorie contro le 5 di Zukertort.
Steinitz difese tre volte il titolo, due volte contro il russo Mikhail Chigorin e una contro Isidor Gunsberg, ungherese di nascita, ma trasferitosi poco dopo i vent’anni a Londra e mai più spostatosi da lì. Nel 1894 un altro tedesco, Emanuel Lasker, anch’egli figura di immensa importanza per gli scacchi nonché anche matematico e filosofo, gli strappò il titolo tra New York, Philadelphia e Montréal. Il suo regno è ancora oggi il più lungo della storia degli scacchi, tra le numerose vicende che accompagnavano allora i confronti iridati (non c’erano veri tornei di qualificazione, semmai tutto passava dagli accordi tra vincitore e sfidante). Lasker conquistò anche la rivincita contro Steinitz nel 1896-1897, poi riuscì a rimettere in palio la corona nel 1907 contro Frank Marshall e vinse, come pure contro Siegbert Tarrasch nel 1908, Carl Schlechter e Dawid Janowski nel 1910. In particolare contro Schlechter rischiò di perdere, vincendo l’ultima delle 10 partite in programma, ma è poco chiaro ancora oggi se fosse a lui necessario o meno un margine di due.
Dopo la Prima Guerra Mondiale, l’attività scacchistica poté riprendere a pieno titolo ed emerse il grande talento di José Raul Capablanca, un uomo dall’aura di imbattibilità totale (da adulto ha perso appena 34 partite), che vinse all’Avana il match contro Lasker nel 1921. Si narra spesso delle condizioni di Cuba, ma anche in altri contesti, in quell’anno, difficilmente sarebbe cambiato l’esito generale. Capablanca rimise in palio il titolo nel 1927 contro Alexander Alekhine, primo vero grande degli scacchi in Russia di questa era, che però era passato già da diverso tempo sotto insegne francesi. A Buenos Aires Alekhine stupì il mondo e divenne campione, per poi confermarsi nel 1929, 1934 e 1937. Con la sola eccezione del 1935, quando Max Euwe, olandese che fu poi presidente dell’allora ancora non nata FIDE, egli confermò sempre il titolo in match al meglio delle 6 vittorie e 15 punti.
Venne poi la guerra, che interruppe ogni cosa e nella quale ci sono forti sospetti su un coinvolgimento in favore dei nazisti da parte di Alekhine. Che morì ancora da campione, nel 1946, in Portogallo. La FIDE, nata più di vent’anni prima, riuscì finalmente a mettere le mani sul ciclo mondiale e organizzò un torneo a quintuplo round robin tra 5 giocatori tra L’Aja e Mosca per decidere il nuovo campione. Ne risultò vincente Mikhail Botvinnik, principale esponente della scuola sovietica di quegli anni. L’Unione Sovietica, da quel momento, sostanzialmente controllò per un quarto di secolo gli scacchi. I match mondiali si giocarono praticamente sempre a Mosca, Botvinnik difese due volte, una più drammatica dell’altra, il titolo contro David Bronstein e Vasily Smyslov. Contro quest’ultimo lo perse nel 1957 e riconquistò nel 1958, e lo stesso accadde contro il geniale Mikhail Tal, il mago di Riga che a 23 anni mise le mani sul titolo iridato per poi non riuscire a conservarlo l’anno successivo. Botvinnik fu definitivamente detronizzato da Tigran Petrosian nel 1963.
Il regno di Petrosian durò sei anni, il tempo di battere una prima volta Boris Spassky, il quale però lo sconfisse nel 1969 in quella che era ormai da tempo l’era dei match sulle 24 partite. Nel frattempo stava emergendo furiosamente l’era di Bobby Fischer, americano dall’infinita serie di stranezze e ancor maggiore ossessione per gli scacchi, sostanziale scopo unico della sua vita. Fu il primo match in quasi un quarto di secolo, quello del 1972, a non giocarsi a Mosca, ma a Reykjavik, capitale dell’Islanda, e fu visto come molto più di un match. Fischer era al suo massimo, Spassky no, e questo fece la differenza: 12,5-8,5.
Quello che poteva essere il lungo regno di Fischer non lo fu mai. Bobby sparì dalla circolazione, fallirono le trattative per il match con Anatoly Karpov nel 1975 e così, a Manila, il nuovo Campione del Mondo lo fu a forfait. Karpov difese il titolo in due delle più discusse sfide di sempre, nel 1978 a Bagujo, dopo 32 partite e una quasi rimonta di Viktor Korchnoi, nel frattempo diventato apolide perché con l’Unione Sovietica, in sintesi, niente più voleva avere a che fare, e nel 1981 a Merano, sempre contro lo stesso avversario. Soprattutto sul 1978, per le vicende interne, si è scritto e detto di tutto.
Come si è detto e scritto di tutto sull’era successiva. Il 1984 vide la rapida ascesa di Garry Kasparov, con il quale Karpov giocò un match ai limiti dell’assurdo a Mosca. Andò avanti 5-0, gli mancava una sola vittoria con le regole di allora per farcela, ma tra sequenze di patte, Kasparov che iniziò a far breccia e tempi che ormai si dilatavano il presidente FIDE Florencio Campomanes, dopo 48 partite e sul 5-3 per Karpov, decretò l’interruzione del match e la disputa di uno nuovo. Questo fu vinto da Kasparov, stavolta sulle 24 partite. I due si sfidarono altre tre volte, nel 1986, 1987 (con drammatica ultima partita che Kasparov vinse per conservare il titolo) e 1990, sempre con la vittoria dell’uomo di Baku, il quale volle la bandiera russa e non quella sovietica tra New York City e Lione.
I dissapori tra Kasparov e la FIDE, già noti al tempo, esplosero tutti in un colpo tra il 1990 e il 1993, tant’è vero che la federazione internazionale, appreso della volontà di Garry e Nigel Short, inglese, di voler organizzare un match separato, squalificò tutti e due, organizzò il match tra i migliori dei Candidati precedenti, Karpov e l’olandese Jan Timman. Di fatto per 13 anni ci furono due Campioni del Mondo separati. Kasparov restò campione della PCA nel 1993 e poi, contro Viswanathan Anand, nel 1995, ma perse contro Vladimir Kramnik nel 2000. Kramnik si confermò nel 2004 a Brissago, in Svizzera, contro l’ungherese Peter Leko pareggiando 7-7 (il pareggio faceva le stesse funzioni di ciò che accade in Ryder Cup nel golf). In quota FIDE, invece, Karpov batté Gata Kamsky nel 1996 e poi si cominciò con l’era dei tornei a eliminazione diretta, prima con Challenge Round (Karpov, infatti, si confermò nel 1998) e poi senza (dal 1999 in poi). Michele Godena fu l’italiano in grado di partecipare nell’edizione 2000 a questo genere di rassegna iridata, che fu vinto nel 1999 da Alexander Khalifman per la Russia, nel 2000 da Viswanathan Anand per l’India, nel 2002 da Ruslan Ponomariov per l’Ucraina, nel 2004 da Rustam Kasimdzhanov per l’Uzbekistan. Nel 2005 si giocò il torneo a otto in Argentina che vide vincere il bulgaro Veselin Topalov.
Finalmente, nel 2006 si riuscì a effettuare la riunificazione, con un match tra Kramnik e Topalov a Elista, in Russia (che non per caso era la città capitale della Calmucchia: il presidente FIDE di allora, Kirsan Ilyumzhinov, veniva da lì). Ci fu un clamoroso scandalo di eccesso di andata e ritorno dal bagno di Kramnik (con accuse e difese da una parte e dall’altra), ma alla fine fu il russo che portò a casa la corona iridata. L’anno dopo fu organizzato un altro torneo a otto che riportò Anand sul tetto del mondo. Da Città del Messico a Bonn e poi a Sofia e a Mosca, Anand difese il titolo prima contro Kramnik, poi contro Topalov e infine contro Boris Gelfand, che da tempo giocava e gioca tuttora per Israele.
Il 2013, invece, vide prepotente l’ascesa di Magnus Carlsen e la sua naturale affermazione attraverso prima il successo nel Torneo dei Candidati. Già ampiamente numero 1 del mondo, il norvegese fece semplicemente quello che tutti si aspettavano: sconfisse Anand prima nel 2013 e poi nel 2014, quindi a New York superò il russo Sergey Karjakin agli spareggi (rimontando dall’ottava partita persa), poi a Londra superò agli spareggi Fabiano Caruana dopo le 12 partite classiche patte nel match più atteso degli ultimi anni, in cui c’era in palio, di fatto, anche il numero 1 del mondo. Dopo l’italoamericano, arrivò Ian Nepomniachtchi, ma anche il russo dovette cedere anche in virtù di una leggendaria sesta partita durata quasi otto ore che Carlsen vinse e che distrusse sotto ogni punto di vista Nepo.
Carlsen, tra 2022 e 2023, maturò quella che in realtà era una cosa già nell’aria da diverso tempo: la sua rinuncia al trono mondiale. Il match iridato lo giocarono così i due primi del Torneo dei Candidati, Ding Liren e Nepomniachtchi. Ding, che era entrato tra i Candidati per squalifica di Karjakin a causa delle sue dichiarazioni della guerra mossa dalla Russia contro l’Ucraina (a dire il vero, non solo le dichiarazioni), fu indietro, nella primavera del 2023, per tutto il match, recuperando diverse volte dallo svantaggio nel confronto più esaltante degli ultimi anni per andamento. E poi arrivò l’autoinchiodatura nella quarta partita di spareggio, quella che mise in crisi tutto l’impianto di gioco di Nepo e portò la Cina ad avere il titolo mondiale in casa.