Se il 2024 debba essere un anno di congiunzione tra due ere non è ancora dato saperlo, anche perché forse il “passaggio di consegne” è già avvenuto prima ancora che l’era dei Big Three finisse. Ma è un dato certo quello che lega il 2024 al 2002, perché fu quella l’ultima stagione in cui nessuno tra Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic vinse un torneo del Grande Slam.
Il lasso di tempo è davvero ampio, e testimonia quanto siano stati importanti tre momenti: l’era del miglior Federer, quello che portava a casa per tre volte tre Slam all’anno, il dominio di Nadal sul rosso, con i 14 Roland Garros come record praticamente impossibile da battere, e l’emergere di Djokovic in vari distinti momenti della storia tennistica che va dal 2011 in avanti.
Nel 2002, però, nessuno di loro era al vertice. O meglio, uno (Federer) ci stava arrivando, ed aveva tra i 20 e i 21 anni. Le premesse sul momento sembravano però altre: c’era Lleyton Hewitt in predicato di diventare la stella degli anni a venire e l’ideale successione nel solco del tennis australiano, ma assieme a lui e alla nuova generazione del tempo c’era l’ala di chi cercava di resistere, come Andre Agassi ancora in ottima forma e Pete Sampras che, invece, segnali importanti di usura ormai li dava.
Eppure quell’anno cominciò con uno dei più folli Slam che si ricordino. Gli Australian Open persero all’istante Hewitt e Gustavo Kuerten, i primi due del seeding: Rusty fu sconfitto dallo spagnolo Alberto Martin, il brasiliano dal francese Julien Boutter. L’ecatombe di teste di serie fu tale che ai quarti arrivarono in quattro, e nessuno più alto di Tommy Haas, il tedesco che prometteva benissimo ed era numero 7. Sembrava però tutto pronto per Marat Safin, e il russo sconfisse proprio Haas in semifinale in cinque set, potendo così riprendere un ruolo da protagonista dopo la trionfale parte finale di 2000 con US Open annessi. Sulla finale si è detto e scritto di tutto, fatto sta che la vinse Thomas “Tommy” Johansson, in quattro parziali: era numero 16 del tabellone, ma questo non impedì di etichettarla come una delle vittorie Slam più clamorose della storia, anche per le circostanze.
Non è famoso allo stesso modo il Roland Garros di quell’anno perché, pur se furono molte le teste di serie importanti a salutare subito, era già ben noto che gli spagnoli avrebbero potuto dominare la scena. Così fu: solo Safin riuscì ad arrivare in semifinale senza essere del Paese iberico, ma fu travolto da Juan Carlos Ferrero. “Mosquito”, però, dovette aspettare ancora un anno per gioire, perché quella fu la stagione di Albert Costa, che era sì stato ottimo giocatore sul rosso negli anni scorsi, ma che, in quelle due settimane a Parigi, trovò la condizione giusta per il più importante titolo della sua carriera.
Solo a Wimbledon i pronostici furono rispettati. O meglio, lo furono in parte, perché se in alto Lleyton Hewitt (pur rischiando tantissimo ai quarti con l’olandese Sjeng Schalken) tolse un’altra speranza a Tim Henman, in basso ne accaddero di tutti i colori, con il picco della semifinale tra David Nalbandian e Xavier Malisse, vinta dall’argentino tra pioggia, malore del belga (che si riprese) e quant’altro. Finì per vincere Hewitt per 6-1 6-3 6-2.
Infine, agli US Open, la chiusura perfetta. Nessuno dava più speranze a Pete Sampras, che invece riuscì a tirar fuori l’ultimo capolavoro della sua carriera, troppo spesso sottovalutata e troppo poco ricordata, e non vale la giustificazione legata al fatto che Pistol Pete non sia in alcun modo personaggio da uscite pubbliche frequenti. Sulla strada del 13° Slam trovò di fronte ancora una volta lui, il rivale di sempre, Andre Agassi. L’anno prima i due inscenarono una delle partite più belle della storia (quattro tie-break, mai perso il servizio, nei quarti di finale). Sampras chiuse il cerchio: ultima partita della carriera, ultimo Slam, 20-14 su Agassi. E così fu.
Oggi la situazione è chiaramente ben diversa. A Melbourne ha vinto Jannik Sinner per la prima volta in carriera a livello Slam, gli altri due Major li ha incassati Carlos Alcaraz. E adesso l’azzurro, per le circostanze, è di nuovo il primo favorito. Resta da scoprire cosa sarà di questo primo anno dal 2003 (il primo Wimbledon di Federer) in cui ci saranno solo nomi nuovi al vertice. La rivoluzione era già cominciata, ma sta ora portandosi a compimento. E può volerci ben poco tempo. Come ci volle nel 2003, in un modo che a suo tempo Andy Roddick riassunse idealmente rispondendo a un giornalista. All’atto pratico, l’ultimo Slam Sampras l’ha vinto nel 2002. Federer ha vinto il primo nel 2003. I numeri sono capaci di parlare, in buona sostanza.