«È successo tutto all’improvviso, in un attimo. Siamo sconvolti». Romina, è una delle figlie di Damiano Mazzon. È sotto shock, come il resto della famiglia.
Giovedì mattina, 17 ottobre, al momento della tragedia, in officina Mazzon Auto, c’erano tutti. Le due figlie, che lavorano in ufficio, il figlio. L’anziano padre si trovava nelle pertinenze dell’autofficina, una sorta di capanno dove aveva un suo spazio, teneva vecchi ferri, parti di materiale scartato, gli oggetti che gli servivano per compiere riparazioni e creazioni, perché non voleva buttare nulla. Cosa sia accaduto, però, nessuno lo sa con certezza.
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«Mio padre è sempre stato un grande lavoratore» spiega «Noi abbiamo appreso tutti da lui. Cinquant’anni nella meccanica». Prosegue: «Stavamo lavorando, quando abbiamo sentito un forte rumore, siamo andati a vedere e lo abbiamo trovato».
Ma a quel punto, il dramma si era già consumato e l’uomo era già stato schiacciato dal tornio. «Nostro padre non gettava nulla, aveva i suoi attrezzi, ci ha cresciuto con la sua idea del lavoro. Aveva una gran voglia di fare, era tenace, appassionato».
I tre figli sono cresciuti a pane e meccanica e hanno preso in mano l’attività di famiglia. Sulla dinamica, nessuno sa con precisione cosa sia accaduto, ma di certo l’anziano stava spostando il tornio.
Il resto, è cronaca di un dramma, che adesso pesa doppio. Perché per lui l’autofficina era la vita. E perché il dramma ha fatto tornare alla mente di tutti i figli, la perdita violenta della madre. Una ferita che si riapre e moltiplica il dolore e la sofferenza.
Giovedì i nipoti e i parenti se ne stavano seduti sul dondolo che il nonno aveva realizzato, come tutto il resto che avevano attorno, con gli occhi pieni di lacrime e la voce spezzata. Si abbracciavano, attoniti.
Era lui ad occuparsi del giardino, a raccogliere le foglie, tagliare la siepe. Si rendeva utile come poteva, come raccontano tutti quelli che lo conoscevano. Era di poche parole, andava al bar all’angolo a bere il caffè con gli amici. Poi tornava alla base, dove c’era il suo mondo. La sua abitazione, i suoi ricordi, la sua autofficina passata ai figli. I suoi vecchi utensili. E poi i suoi due pastori tedeschi, che al momento dell’incidente non c’erano.
Riccardo Mazzon, il figlio, non vuole parlare, ripete che si è trattato di un incidente domestico e non di un incidente sul lavoro. Perché il padre, di fatto, non solo non era un dipendente, ma non si trovava all’interno dello spazio dell’autofficina.
Racconta che quella fondata da suo padre è l’officina più vecchia di Marcon, aperta nel lontano 1965. La moglie, Cinzia, invece, mostra alcune delle sue imprese, tra cui una panchina, realizzata ex novo.
«Aggiustava, recuperava, faceva di tutto, era davvero una persona con un talento eccezionale». Prosegue: «Non era solo un meccanico, era un uomo creativo, sapeva ingegnarsi, trovava delle soluzioni che nessuno sarebbe stato in grado di trovare per non gettare gli oggetti ma riutilizzarli». Poi ritorna al passato: «Questa non è la prima tragedia, molti anni fa era morta la moglie».
Un ricordo che fa male, e che adesso aggiunge sofferenza alla disperazione.
«Oggi è un giorno di profonda tristezza per la nostra comunità» il messaggio del sindaco, Matteo Romanello «Oggi ci stringiamo alla famiglia di Damiano Mazzon, ai suoi cari, e a tutti coloro che lo hanno conosciuto e apprezzato. Mazzon fondatore della Autofficina Mazzon Auto, ci lascia un’eredità fatta di impegno, di passione e di quell’amore sincero per il suo lavoro, che l’ha visto impegnato fino a poco prima di lasciarci. Ora è il momento del silenzio e della riflessione, per onorare la sua memoria con rispetto e gratitudine».
