foto da Quotidiani locali
I racconti come origami, ogni frammento narrativo diventa il cuore stesso della storia, plasmandone la forma. Questa l’immagine che l’autore israeliano Eshkol Nevo ha dato del suo ultimo libro, Legami, al Mestre Bookfest, lo scorso sabato.
Una raccolta di racconti - o, se si preferisce, di origami - che raccontano il desiderio, passioni improvvise e amori filiali dove il fil rouge è dato dal tempo. «È solo perdita?» Chiede lo scrittore Marco Balzano, in dialogo con Nevo in una piazza Ferretto attentissima alla conversazione tra i due. La risposta è negativa e, sottolinea l’israeliano, il tempo è soprattutto un concetto con cui fare pace. «Ci vuole pazienza, nelle relazioni si è in due e non sempre i ritmi di uno sono i ritmi dell’altro, non sempre la sicurezza dei propri sentimenti è uguale, si possono avere tempi diversi ed è giusto rispettarli. Altrimenti, si rischia di perdere le persone» commenta Nevo, condensando il significato del suo racconto Come l’acqua, contenuto in Legami.
Il titolo è emblematico e sta a indicare la necessità che, volenti o nolenti abbiamo, «di intrappolare i sentimenti in schemi e nomi precisi. Riusciremmo a viverli liberamente, senza intrappolarli, proprio come l’acqua?» Si chiede l’autore, sottolineando come forse il segreto stia tutto qui, nel non contrapporsi al flusso naturale delle cose, allo scroscio dei sentimenti, perché d’altronde non si può imprigionare il mare in una bottiglia. «Come diceva Sting, se ami qualcuno lo lasci libero» aggiunge.
Le citazioni musicali non mancano, nell’incontro in piazza Ferretto, dopo Sting è la volta di Bruce Springsteen, a cui Nevo ha dedicato il racconto Hungry heart. «Tutti hanno un cuore affamato di avventure e, al tempo stesso, bisogno di una casa in cui tornare e sta tutta qui l’ambivalenza dei legami» spiega. Ma il racconto è innanzitutto la storia del continuo tentativo dell’autore di andare ai concerti del suo mito: «ho sempre preso i biglietti ma poi all’ultimo succedeva qualcosa a me o a lui e alla fine non riuscivo mai ad andarci» sorride, «nel 2012 era a Ferrara, ho pensato che fosse la volta buona, in fondo l’Italia è la mia seconda casa. In quei giorni, però, c’era stata l’alluvione e davo per scontato che non ce l’avrei fatta nemmeno quella volta, invece il concerto si fece. E fu bellissimo» rivela ai suoi lettori.
Con tatto, Balzano si sposta dai libri e dalla musica agli scenari internazionali, alla guerra che tocca da vicino Eshkol Nevo. L’autore, tra l’altro, in un articolo sul Corriere della Sera aveva parlato della «perdita di innocenza negli sguardi degli israeliani» perché, spiega a Balzano «dopo il 7 ottobre ho visto un cambiamento nello sguardo della mia prima figlia, ventenne. Da quel giorno lei e la sua generazione hanno perso qualcosa». Nevo rivela che, da allora, ha smesso di scrivere per dedicarsi soprattutto a interventi in cui la parola diventava terapeutica, dagli workshop ai reading con le famiglie degli ostaggi, dei dispersi o semplicemente gruppi di persone evacuate. «Chi fa questo mestiere, spesso si chiede per chi scrive, dimenticando il significato che può avere una storia su una persona, l’importanza di una parola al momento giusto» aggiunge, commosso.
E la pace? «Per arrivarci serve un compromesso, per farlo serve empatia. E ciò che la promuove più di tutto è la letteratura. Mai come ora mi sono sentito orgoglioso di essere uno scrittore». E parte l’applauso.