foto da Quotidiani locali
Scacciati dal fronte stazione, allontanati dall’ombra dei giardini, ormai tenuti a distanza anche da via Aleardi e dalle altre strade laterali e secondarie che collegano via Piave e via Cappuccina, gli spacciatori che avevano fatto di Mestre il loro centro di interscambio regionale - e non è un’esagerazione, visto che nel nodo veneziano si incrociavano i traffici che si allungavano per mezza Europa - hanno dovuto riposizionarsi, spostandosi altrove in attesa dei loro clienti.
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E, come in un gioco di vasi comunicanti, i loro movimenti hanno dato l’impulso anche alla galassia di sbandati, tossicodipendenti e piccoli criminali che orbitavano da sempre attorno ai professionisti dello spaccio: che si tratti di chi cerca un posto dove consumare la dose lontano da occhi indiscreti o chi, come sembra probabile nel caso della rapina al bar Tivoli di via Mestrina, si dà ai piccoli furti e alle aggressioni per racimolare il necessario utile a comprarla, quella dose.
Che i pusher siano stati allontanati da via Piave è sotto gli occhi di tutti: difficile assistere ancora a passaggi di mano alla luce del sole sui marciapiedi di viale Stazione e via Trento, e lo stesso si può dire anche attraversando piazzale Bainsizza.
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E poi ci sono i numeri: solo nei primi tre mesi dell’anno la polizia locale ha fermato una cinquantina di persone per spaccio, sequestrando di media un chilo di stupefacente ogni trenta giorni. I pusher hanno capito l’antifona e hanno ripiegato oltre la barriera dei binari, inseguiti però dai vigili: gli ultimi arresti, la settimana scorsa, sono avvenuti in via Rizzardi, a Marghera, sempre negli stessi luoghi, che evidentemente gli spacciatori ambivano a trasformare in nuovi punti di riferimento.
E qui emerge una delle complessità del controllo del territorio: se il venditore ha un certo interesse a farsi trovare almeno dai suoi clienti, e quindi mantiene un minimo di stanzialità, i tossicodipendenti non hanno simili necessità.
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Certo, chi non ha un posto dove stare finisce per rifugiarsi sempre negli stessi luoghi abbandonati: il sottopassaggio di via Giustizia (che però in questi giorni è sgombro), l’ex falegnameria Rosso, costantemente murata e di nuovo espugnata dagli sbandati, il parco di villa Ceresa; le forze dell’ordine lo sanno bene e battono costantemente questi posti, così come lo stabile abbandonato di strada dei Ronchi, sotto rampa Cavalcavia.
Restano comunque i segni degli ingressi abusivi un po’ ovunque, dalle recinzioni sollevate intorno a via Trento fino ai vetri rotti all’inizio di Corso del Popolo.
Una scia di bottiglie di birra vuote e lattine schiacciate mostra ancora le presenze notturne nell’area verde di via Sernaglia, all’imbocco del sottopassaggio pedonale di via Dante, nelle rampe di qualche garage condominiale di via Felisati; le siringhe sono indubbiamente più rare, la stagnola, invece, si vede ancora, e anche quella spesso è la traccia di un consumo.
Ladri, vandali e rapinatori sono i più mobili: chi cerca di accumulare i soldi per comprare una dose può andare a caccia in tutta la fascia di Mestre compresa tra via Carducci e la stazione, con una chiara e storica preferenza per i dintorni di Corso del Popolo e per le via che si collegano poi ad Altobello.
É qui che, al calar del sole, continuano a ripetersi le aggressioni ai danni dei pedoni solitari, ma anche gli assalti ai danni degli esercenti, come quello di sabato pomeriggio, appunto.
La polizia locale mantiene comunque alta la pressione, consapevole dei limiti normativi: l’arresto finisce per risolversi in cosa da poco, per chi ha poco da perdere. E, nel quartiere, ci si fanno pochi scrupoli persino nell’andare a pesca tra i cassonetti della Caritas, spesso sfondati e saccheggiati in cerca di qualcosa utile da piazzare per pochi euro.
Gli stessi quartieri, però, sono in grado di reagire con insospettabile testardaggine: i residenti del rione Piave sono da anni organizzati in comitati e gruppi di lavoro, il Piraghetto - altro storico fronte “caldo” - oggi è anche un laboratorio per famiglie.
E, proprio tra Corso del Popolo e Altobello, nei giorni scorsi, si vedevano gli avvisi del Circolo operai che chiamava a raccolta tutti i cittadini per una raccolta alimentare a favore dei bisognosi. Marghera, poi, fa storia a sé: il nuovo fronte dello spaccio è anche il terreno di scontro di parroci estremamente combattivi come don Nandino Capovilla, da sempre impegnato per l’integrazione di tutti, dagli stranieri alle persone in difficoltà.