A metà tra autobiografia e fiction, La montagna non ride e non piange di Marco Berti (Solferino, 2024) è un libro di alpinismo che spiazza per la sua sincerità.
La trama è semplice. Prima di ripercorrere in solitaria la via che ha aperto molti anni prima con un compagno che non c’è più, l’io narrante incontra un amico che non vede da tempo e dal quale, come talvolta succede, si è allontanato senza un vero perché. Ma il centro del racconto è una salita, con tutte le sue implicazioni, inquietudini e incertezze, sulla montagna di una vita.
L’alpinismo si intreccia così con le relazioni tra gli esseri umani, e la difficoltà del salire le cime è implicitamente paragonata alla complessità dei rapporti tra le persone. La metafora è quella del “viaggio”: così come la vita è un viaggio dall’età giovanile all’età adulta, il salire la montagna è un viaggio che attraversa tutte le fasi psicologiche della crescita prima, della maturazione poi, e della vecchiaia: l’arrivo in vetta.
La stessa fisicità dell’arrampicata – i dolori alle dita, l’affaticamento dei muscoli, l’irrigidimento delle articolazioni – richiamano il percorso che il nostro corpo compie assieme a noi, nel tempo.
Ma la nota di fondo del romanzo è una mai banale positività. Per esempio la riflessione che la montagna è uno spazio senza vita che non può essere né seducente né assassino (come in tanti titoli giornalistici), ma semplicemente uno specchio nel quale si rifrange la nostra psiche, non è una costatazione che impaurisce.
Anzi: ci libera dall’angoscia, ci permette di amarla «perché ha il pregio di non essere umana». Anche per questo la montagna che è al centro della storia non ha un nome. Vi si può riconoscere un profilo di Dolomiti, così come familiari appaiono il paese e i turisti ai suoi piedi, ma niente di più.
Veneziano, dopo una vita di alpinismo anche solitario e di lavoro e spedizioni in tutto il mondo, Marco Berti si è dedicato alla scrittura e con questo libro ha vinto il Premio della Montagna Cortina 2024. La montagna non ride e non piange parla di amicizia, di musica, di appigli, di scelte di vita, giuste e sbagliate, come capita un po’ a tutti.
La prefazione è di un grande alpinista, Alessandro Gogna. Si legge di un fiato, come una grande salita, oppure che si apre a caso e si gusta qui e là, come un’arrampicata in falesia.