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Il Serprino vuole crescere: «Noi un brand»

Frizzante, vulcanico, dinamico. Unico, informale, trasversale, identitario. «Le parole sono importanti», diceva il buon Nanni Moretti, e al Consorzio di tutela Vini Colli Euganei la pensano allo stesso modo: d’ora in poi, per parlare di Serprino, si useranno questi aggettivi.

Già, perché è così che si crea un’immagine seria, è così che si contribuisce a rendere solido un brand.

Ed è proprio l’uso corretto delle parole, e con esso la consacrazione di una identità che pareva perduta, una delle tappe fondamentali indicate dal progetto strategico di valorizzazione del Serprino presentato il 13 settembre a Vo’.

L’obiettivo è decisamente ambizioso: rilanciare il vino frizzante Doc dei Colli Euganei per renderlo un riferimento per tutti i padovani e per i veneti in generale, portando le 800 mila bottiglie prodotte oggi ad almeno 4,5 milioni in tre anni.

«I vigneti già esistenti possono consentire, teoricamente, di arrivare anche a 8, 5 milioni di bottiglie», 12 milioni se si considera la riserva vendemmiale che la Regione non nega mai, incalza Gianluca Carraro, presidente del Consorzio.

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Ad illustrare il piano è stato Angelo Peretti, giornalista di settore che ha già elaborato progetti di posizionamento strategico per alcuni consorzi di tutela italiani.

Peretti è partito con le note positive: «Il Serprino è l’unico vino veneto specializzato nella tipologia frizzante e rappresenta un’esclusività dei Colli Euganei: il decreto ministeriale del 2012 impone che, al di fuori degli Euganei, non possa esistere alcun vino che possa utilizzare il nome Serprino».

Serprino, che poi è il nome di un’uva: non ha goduto della stessa fortuna il Prosecco, prodotto persino in Australia, la cui denominazione è stata in parte blindata solo con l’operazione Unesco legata alle Colline del Prosecco.

Ancora: «Il Serprino è perlopiù vino frizzante e questo favorisce un posizionamento commerciale: sia per l’andamento positivo dei vini “con le bollicine”, sia perché in Italia otto consumatori su dieci di questi vini acquistano frizzanti, a prescindere dal fatto che questo sia davvero frizzante o spumante».

Il nome è poi accattivante («compare quella R che ha già fatto la fortuna di Prosecco, Amarone, Ripasso»), il prezzo è concorrenziale rispetto al Prosecco, i tempi brevi di spumantizzazione permettono di collocare le bottiglie nel mercato già nel post vendemmia. A Natale, ad esempio, per i brindisi.

Lo spazio poi non manca: i trenta produttori dei Colli, oggi, garantiscono meno di un milione di bottiglia, ma i vigneti potrebbero assicurare una produzione almeno otto volte maggiore. «Abbiamo 350 ettari da saturare velocemente», spiegano i promotori del piano.

Perché allora il Serprino non decolla? Innanzitutto perché attualmente il Serprino non è un brand. «Oggi le due denominazioni di origine locale – Colli Euganei Doc e Colli Euganei Fior d’Arancio Docg – non sono considerati brand perché si identificano in ben 35 diverse tipologie di vino, vero e proprio contrasto alla regola aurea della promozione vinicola “una denominazione, un vino”».

Nessuna delle due denominazioni vanta inoltre massa critica: la prima fa 2,6 milioni di bottiglie, la seconda 800-900 mila.

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Ritornando a pensare al Serprino, senza un brand e con una produzione così modesta, e con un mercato prettamente locale, è ovvio che i viticoltori locali puntino alla maggiore redditività offerta destinando le uve a Prosecco.

Il Consorzio di tutela ha però voluto credere nelle enormi potenzialità del frizzante vino vulcanico ed ecco l’investimento di 300 mila euro (il Serprino garantisce 4 milioni di fatturato, quindi l’investimento in questa azione è di quasi un decimo) nel piano strategico di rilancio e valorizzazione. Che, innanzitutto, prevede che il Serprino venga considerato come vero e proprio brand autonomo.

D’ora in poi ci saranno il Serprino, il Rosso dei Colli Euganei, i Vini aromatici (Moscato e Fior d’Arancio). Tre nomi, tre brand, tre diversi piani di promozione.

Una diversificazione che sarà declinata anche negli aspetti più concreti: «Si andrà al Vinitaly e non ci sarà uno stand dei Colli dedicati a tutti questi vini, ma ad esempio il Serprino avrà il suo stand a parte», illustra Peretti.

Si lavorerà quindi a ridefinire marchio e identità del bianco frizzante Doc: un’agenzia specializzata sta rivedendo l’etichettatura, scegliendo un nuovo font, ripensando anche a uniformare grafiche e bottiglie tra i trenta e più produttori della zona, ma anche tutto l’apparato pubblicitario, fosse anche il volantino di una festa dedicata al Serprino.

E ancora, se oggi la menzione nelle etichette è “Colli Euganei Serprino”, in futuro l’etichetta locale vedrà la dicitura “Serprino Colli Euganei”, quella destinata ad uscire dai confini padovani recherà semplicemente il nome “Serprino”.

Uscire, appunto. Senza forzare il mercato trevigiano, fedele al Prosecco, il marketing si spingerà a tutte le province venete e poi al Nord Italia, pensando già anche all’estero: «Ipotizziamo di liberalizzare i sistemi di chiusura del Serprino, con l’autorizzazione all’uso del tappo a vite ampiamente richiesto dagli importatori esteri. Banalmente: senza tappo a vite non si può pensare di aver vita facile nel mercato del Nord Europa».

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Passo indietro, il Padovano. «Vogliamo che il Serprino diventi il vino di riferimento per i brindisi augurali e per tutti i momenti di festeggiamento del territorio, che sia un evento sportivo, un gala o una festa parrocchiale», hanno spiegato. «Per questo siamo disponibili ad affiancare attivamente gli organizzatori di eventi e iniziative locali. Aumenteranno le occasioni di assaggio rivolte ai consumatori, la partecipazione a fiere e la presenza su media e social («ma sia chiaro, vogliamo vendere più bottiglie, non fare più click», la chiosa del presidente Carraro).

L’ambizioso progetto ha ricevuto la benedizione di molti politici (sindaci, consiglieri regionali, pure una lettera di incoraggiamento di Luca Zaia), di tutte le associazioni di categoria, di esperti di settore. Già a fine ottobre sarà presentata la nuova immagine del Serprino, poi via col vento in poppa fino al 2026: si riusciranno a stappare 4 milioni di bottiglie, entro quella scadenza?

La vendemmia è al giro di boa, la pioggia non impensierisce

Un’annata tutto sommato buona tra i vigneti della nostra provincia: sui Colli Euganei come in pianura la vendemmia è in corso da tre settimane e si appresta a compiere il giro di boa.

L’improvviso abbassamento della temperatura di questi giorni e la pioggia non sembrano impensierire più del dovuto i viticoltori: tornerà più caldo e ci saranno le condizioni ottimali per continuare il lavoro di raccolta, a mano o meccanica, tra i filari.

Nella nostra provincia la vendemmia 2024 promette bene: sul fronte della quantità gli esperti di Veneto Agricoltura si aspettano i volumi dell’anno precedente e anche un lieve incremento, di qualche punto percentuale, viste le buone performance delle uve rosse, che rappresentano la stragrande maggioranza della produzione.

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Nel 2023 erano stati raccolti 1 milione e 90 mila quintali d’uva – l’8% del totale veneto, che posiziona la nostra provincia quarta, subito dietro a Venezia – negli oltre 8.300 ettari di vigneti, coltivati per il 75% con uve a bacca bianca. Le aspettative sono buone anche sul fronte della qualità, visto che gran parte del territorio è stato risparmiato dalle grandinate e dalle gelate tardive, due fattori che incidono negativamente, insieme all’aspetto sanitario.

Sul fronte meteo è confermata la tendenza degli anni scorsi, con un inverno mite, il secondo più caldo degli ultimi trent’anni, seguito da una primavera più piovosa ma sempre con temperature al di sopra della media. Il gran caldo di inizio estate aveva rallentato la maturazione dell’uva, soprattutto dove non era possibile intervenire con l’irrigazione di soccorso.

Guardando alle singole varietà, per la glera, dalla quale si ottengono il Prosecco in pianura e il Serprino sui Colli Euganei, la più diffusa, coltivata su oltre 3.700 ettari, la previsione va dalla stessa quantità dello scorso anno ad un incremento fino al 5%.

Con il segno positivo anche le previsioni per il pinot grigio, presente su 1.139 ettari, che potrebbe avvicinarsi anche al 10% in più rispetto allo scorso anno, insieme allo chardonnay, quarta varietà con 405 ettari.

Tiene il merlot, primo fra i rossi a Padova su 987 ettari, che dovrebbe confermare la percentuale dl 2023, mentre il cabernet si porterà in terreno negativo, al massimo entro il –10%. Stessa performance è attesa anche per il pregiato moscato giallo, base del celebre Fior d’Arancio Docg, mentre il raboso, da cui si ottiene anche il Friularo Docg, dovrebbe contenere le perdite al 3%.

Sul fronte qualitativo l’annata 2024 si posiziona fra il discreto e il buono: andrà meglio alle varietà e nelle zone meno colpite da malattie, come la peronospora che ha attaccato numerosi vigneti e dato parecchio da fare ai viticoltori, soprattutto a chi si affida al biologico, nel padovano presente su circa un migliaio di ettari.

Tutti i produttori, infine, hanno dovuto fare i conti con un aumento dei costi per gli interventi di difesa dalle malattie.

Tramonta il patto con la Doc Prosecco: ora la mano è tesa alle aziende dissidenti

La rivoluzione copernicana perfetta. Il ripensamento sulla rotta futura da dare al Serprino ha del clamoroso. La bussola non guarda più verso Treviso e sembra allontanarsi dall’orbita magnetica (e accattivante) del Prosecco, compiendo un’ardita quanto inattesa manovra. Indietro tutta, la direzione torna a indicare “Colli Euganei”: il Serprino torna a casa prima ancora di muovere un solo passo verso nuovi lidi.

Certo, non si può dire che la direzione immaginata dalla precedente dirigenza del Consorzio di tutela Vini Colli Euganei, favorevole a “cedere” la Doc Serprino al consorzio della Marca, portasse all’inferno.

L’idea, osteggiata fin da subito da una parte dei soci, era quella di rendere il Serprino un fiore all’occhiello nell’ambito della produzione di Prosecco Doc.

Nell’etichetta sarebbe sparita la denominazione Colli Euganei e il controllo della produzione sarebbe passato al Consorzio con sede a Treviso.

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Due anni fa ci furono aziende che per protesta lasciarono il Consorzio dei Colli, gridando allo scippo dell’identità del prodotto e al territorio “tradito”. Allora sembrava prevalere la logica dell’uovo oggi, del vantaggio immediato, contando sul traino del successo planetario del Prosecco.

Gran parte dei produttori di uve erano lusingati dal fatto che le uve Glera se utilizzate per il Prosecco venivano pagate il triplo rispetto a quelle destinate al Serprino.

La vicenda provocò una spaccatura netta in seno al Consorzio di Vo’. Nove aziende di primo livello uscirono subito, altre dopo: un vero e proprio terremoto. Molte intimarono al Consorzio, con un documento legale, di fermare l’operazione, pena il pagamento di eventuali danni commerciali. Il mandato di Marco Calaon finì nella bufera e l’inizio di quello di Gianluca Carraro, presidente eletto dal direttivo dopo elezioni, fu caratterizzato da prudenza.

Il piano di rilancio del Serprino presentato il 13 settembre è un fulmine a ciel sereno. Sulla scorta del parere di un esperto di marketing come Angelo Peretti, il Consorzio compie una virata secca e scommette su questo vino frizzante, annunciando di volerne fare uno degli ambasciatori della Doc euganea. Contando solo sulle proprie forze, senza il traino del Prosecco.

Un cambio di prospettiva non facile da spiegare. Perché il dissenso che serpeggiava fra le aziende in rivolta era alimentato anche da altre ruggini. Ad esempio una certa incomunicabilità con i vertici del Consorzio.

Calaon prima di lasciare l’incarico aveva fatto qualche timido tentativo di apertura. Più di facciata, gli rimproverano gli aventiniani, tanto che molti di loro erano pronti alle carte bollate pur di non vedere il Serprino cambiare targa.

Il “muro contro murosi è trascinato per due anni. Con fatti eclatanti, come la nascita del gruppo dei Vignaioli Euganei, con tanto di mega evento un anno fa a Villa Selvatico.

Nel frattempo il Consorzio ha cambiato guida: il nuovo direttivo (nuovo soltanto in parte) si è mosso con cautela. Il neopresidente Carraro ha ben colto che tirava una brutta aria fra i soci e, per quanto rappresentativo di una solida maggioranza che ha nella Cantina sociale di Vo’ il suo pilastro, sembra aver scelto di rispondere con i fatti.

«L’opportunità di questo rilancio», dice, «non è una risposta alle aziende dissidenti, però in queste settimane ha avuto modo di cogliere che la linea è stata apprezzata». Un riavvicinamento sembra in atto. Non che di colpo la guerra sia finita, ma la diplomazia può riprendere.

Serprino figliol prodigo, dunque. Che torna a sedurre in casa, senza necessariamente “vestirsi” da Cartizze, senza sognare la corte di sua maestà Prosecco, ma ricordandosi che per il suo riconoscimento a Doc alcuni sindaci degli Euganei si erano addirittura incatenati.

Questa è la storia. La storia di un vino che non è la quintessenza degli Euganei, ruolo che resta una prerogativa dei grandi rossi (lo dice la storia, prima che la critica), è non è nemmeno quello più civettuolo (il Fior d’Arancio era stato creato con questo scopo), ma Serprino che può dire la sua in termini di originalità per intercettare le attuali tendenze di un mercato orientato sulle bollicine facili, briose, adatte all’aperitivo come al pasto di tutti i giorni. Chi vivrà… brinderà.

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