Nell’inserto NordestEconomia del 26 agosto 2024 Giuseppe Milan (Giovani in fuga) e Patrizio Bianchi (I distretti non bastano più) mettono opportunamente in relazione due preoccupazioni sempre più mature a Nordest: l’emorragia di giovani talenti che in numero crescente vanno a lavorare all’estero e il futuro dei distretti industriali che potrebbero presto non essere più capaci di garantire la competitività e la prosperità dell’Italia e del suo Nord Est.
Una relazione da approfondire anche corroborandola con qualche evidenza empirica per suggerire a chi di dovere la possibile soluzione: la creazione di un “distretto dell’economia della conoscenza" competitivo con quelli stranieri che oggi attraggono i nostri giovani migliori. Un “distretto della nuova economia” che per nostra fortuna c’è già, anche se opera “a nostra insaputa”, nell’area veneta tricentrica che vede intersecarsi le aree urbane funzionali di Padova, Treviso e Venezia. Un organismo metropolitano che si è autorganizzato per la miriade di scelte individuali di imprese e famiglie “a dispetto” di istituzioni politiche ignare e che registra performance tra le migliori d’Italia, purtroppo ancora distanti dalle migliori europee.
Ma partiamo dalla radice comune dei due fenomeni che ci preoccupano. Questa ha a che vedere con due tendenze consolidate che stanno cambiando il mondo. La prima è data dall’ampliarsi dei mercati di beni e servizi; potenzialmente fino alla loro dimensione globale. L’enorme riduzione dei tempi (e dei costi) di trasporto e di comunicazione ha reso tecnicamente possibile operare su mercati sovranazionali sempre più ampi e, quindi, conveniente aumentare quanto più possibile la scala delle produzioni per goderne delle relative economie. Il contesto geoeconomico e geopolitico nel quale viviamo oggi va ottusamente contro questa tendenza imponendone una frammentazione sovrastrutturale.
Ma la spinta di fondo resta: oggi “grande è bello”. Sui mercati globali, ma anche su quelli regionali continentali come l’Europa, si confrontano imprese sempre più grandi che spiazzano le medio-piccole, anche quelle che le economie di scala le avevano cercate in un loro esterno localizzato, quello dei distretti.
La seconda tendenza irreversibile è la crescente intensità di conoscenza incorporata nei prodotti e nei loro “gemelli digitali”. Oggi non basta più gestire bene il proprio core business; per restare competitivi occorre arricchire processi e prodotti di innovazioni legate a servizi scientifici, digitali, comunicativi, finanziari, etc. Servizi che il singolo distretto industriale non è in grado di garantire e che, a loro volta - siano essi quelli che ibridano in termini digitali i prodotti manifatturieri o quelli che in misura crescente costituiscono i nuovi prodotti per sé -hanno bisogno per essere competitivi di prodursi in “distretti” , in socio-sistemi territoriali che garantiscano loro i vantaggi della condivisione di risorse rare(sharing), dell’interazione con i propri fornitori e clienti (matching) e dell’apprendimento anche inaspettato, non programmato (learning): proprio le tre categorie di “economie di agglomerazione” che giustificano l’esistenza delle “città”, delle aree urbane funzionali, tanto meglio quanto più grandi e dense (ove il limite è dato dalle diseconomie - congestione, inquinamento, etc.- che la scala si porta dietro).
Il cerchio analitico si chiude osservando che sono queste attività ad alta intensità di conoscenza quelle che domandano le competenze delle quali sono ricchi i giovani talenti che oggi lasciano l’Italia e il Nord Est; e constatando che le loro destinazioni privilegiate sono soprattutto le grandi città europee. Un punto, questo, da sottolineare con forza perché anche se i vincoli di disponibilità dei dati statistici ci “costringono” a parlare di regioni, queste primeggiano per le grandi città che le caratterizzano.
E così la cruda realtà è che le tre destinazioni più attrattive (di imprese e famiglie) in Europa sono le regioni attorno a Stoccolma, Parigi e Monaco di Baviera, con Lombardia (Milano) solo 38ª, Veneto (Padova-Venezia-Treviso) 58ª ed Emilia-Romagna (Bologna) 63ª. Una classifica che spiega meglio di ogni altro argomento le scelte di espatrio dei nostri giovani, che da parte loro ci aggiungono la possibilità di trovare nelle grandi città europee servizi, amenities ed opportunità difficili da trovare in Italia. In questo ritardo di attrattività preoccupante a livello europeo, la buona notizia è che in Italia le attività innovative che si concentrano di gran lunga più di ogni altra nelle aree metropolitane funzionali di Milano e Roma, vedono l’area metropolitana tricentrica imperniata su Padova-Treviso-Venezia al quarto posto (il terzo è dell’area metropolitana funzionale di Torino). Il tutto in un contesto dinamico che negli ultimi anni ha visto scalare le classifiche nazionali solo all’area metropolitana funzionale di Bologna. Il quadro complessivo non è dei migliori, ma se chi di dovere se ne desse sollecitamente carico il Nord Est potrebbe presto avere nell’area metropolitana “tricentrica” il suo “distretto della conoscenza” capace di trattenere i suoi talenti e di mantenere competitivi i suoi distretti.
