Non indossano una maschera nera, né usano congegni sofisticati. Non hanno l’umorismo di Lupin, né l’etica di Robin Hood. I ladri d’arte moderni lavorano per lo più su commissione, a colpo certo. Anche per questo i bottini di rado finiscono nel mercato nero dell’arte, rendendone il recupero sempre più difficile.
Con una media di due furti di arte sacra all’anno (40 furti in 20 anni), la Diocesi di Padova può dirsi tutto fuorché al sicuro da questo tipo di reati, che non colpiscono solo le casse della Chiesa ma intere comunità. Eppure, anche grazie a uno sforzo congiunto con le forze dell’ordine e nuovi sistemi di sicurezza, il patrimonio delle parrocchie padovane è sempre tutelato. Ma tutt’altro che salvo.
«Con l’ultimo inventario abbiamo schedato 108 mila opere d’arte sacre», sottolinea Claudio Seno, dell’Ufficio beni culturali della Diocesi.
«Questo catalogo ha portato alla luce – sottolinea l’architetto Seno – l’enorme e inestimabile patrimonio della comunità. La custodia è perciò un compito importante. Compito che passa dalla prevenzione con l’installazione di impianti antintrusione e di video sorveglianza. Non di rado, nelle aree più isolate si arriva anche alla sincronizzazione delle telecamere con le Stazioni dei carabinieri».
Proprio la presenza capillare dei carabinieri sul territorio è spesso l’ago della bilancia che permette ad alcune comunità di “permettersi” si esporre le proprie opere d’arte di rilievo all’interno delle chiese, apparentemente incustodite. Dipinti, pale, statue che in condizioni diverse sarebbero costrette ad essere rinchiuse gelosamente in musei. E di conseguenza ad essere meno fruibili dai fedeli.
«Il ruolo dei parroci è quello di custodi di questi beni», osserva Seno, «insieme ai fedeli. Certo l’inventario che abbiamo fatto è un’arma a doppio taglio: da un lato aiuta le forze dell’ordine nel recuperare gli oggetti che vengono rubati. Dall’altro fornisce ai ladri un archivio visivo di tutti gli oggetti di pregio della Diocesi».
«Investighiamo nel caso in cui venga segnalato un reato che tocca il patrimonio culturale, e quindi portiamo la nostra esperienza per il recupero di opere d’arte rubate».
Spiega così il tenente colonnello Emanuele Meleleo il ruolo del Nucleo tutela patrimonio culturale. «Oggigiorno – spiega il comandante del nucleo di Venezia – il nostro mestiere si articola soprattutto nella comparazione delle banche dati delle opere d’arte con gli articoli che emergono nelle aste online. Per i confronti ci affidiamo anche all’intelligenza artificiale. Serve sempre l’expertise di storici dell’arte e archeologi, per capire se l’oggetto è effettivamente quello che cerchiamo e, nel caso, lo sequestriamo. Chiudendo il cerchio, e riportandolo a casa».
Quel cerchio, a volte, torna veramente a chiudersi. È il caso delle tre pale rubate dalla chiesa di San Martino, a Este, realizzate da Zanchi e Zanella: valore del bottino 30 milioni di euro. Era il 1981, e delle tre opere d’arte sacre non si seppe più nulla per 42 anni, fino al loro ritrovamento a Torino. Restituito negli anni anche un olio su tela esposto al Duomo di Montagnana: rimasto sottotraccia per 40 anni, è l’unico dipinto di 8 sottratti nella stessa occasione ad essere tornato a casa. —
