Giada Zanola aveva assunto uno psicofarmaco appartenente alla famiglia delle benzodiazepine prima di essere scaraventata giù dal cavalcavia di Vigonza sull’autostrada A4, a due passi da casa, e trovare la morte.
Eppure nessun medico le aveva prescritto quel medicinale che ha effetto miorilassante oltre a indurre sonnolenza e (in quantità elevate) stordimento.
La conferma è arrivata dai primi riscontri dell’autopsia trasmessi in procura dal professor Claudio Terranova dell’Università di Padova, il medico legale che ha eseguito l’esame e sta compiendo tutti gli accertamenti di laboratorio (anche tossicologici).
Riscontri già in mano al pubblico ministero Giorgio Falcone che coordina l’indagine.
Rischia di aggravarsi la posizione dell’ex compagno della vittima, il 38enne Andrea Favero (difeso dall’avvocato Marco Marcelli), finito in carcere poche ore dopo la tragedia per omicidio volontario aggravato dalla relazione di convivenza.
Già perché troverebbe fondamento la preoccupazione espressa da Giada a un’amica e al nuovo fidanzato: a loro aveva raccontato di temere che Andrea le somministrasse qualcosa a sua insaputa. Con l’obiettivo di stordirla.
Accertato che Giada ha assunto (o le sono state somministrate) benzodiazepine, di cui sono state trovate tracce tanto nei tessuti prelevati da vari organi quanto nel cosiddetto umor vitreo, resta da capire se il quantitativo di psicofarmaco sia stato assorbito in dosi per uso terapeutico o in dosi massicce.
Un punto altrettanto determinate per definire il quadro accusatorio che, allo stato, sembra consolidarsi e completare un puzzle già abbozzato da messaggi e confidenze della vittima a persone a lei vicine.
Si rafforza lo scenario ipotizzato dagli inquirenti.
Favero avrebbe stordito la compagna in casa, prima di caricarla in macchina e lanciarla dal cavalcavia viva e del tutto incosciente, dopo averla posizionata sul gradone che scorre lungo il parapetto del viadotto (alto 80 centimetri da terra) a poco meno di 800 metri dall’abitazione della coppia, in via Prati 8. Non si escludono violenze fisiche subite da Giada.
Violenze che il suo corpo non potrà mai raccontare perché è stato travolto e straziato da un Tir e da altri veicoli che percorrevano l’autostrada A4.
Tra gli indizi che confermerebbero l’omicidio ci sono pure delle fotografie relative alle contusioni al collo riportate da Giada in seguito a frequenti litigi con il compagno (l’ultimo il 27 maggio) e i filmati della videosorveglianza installata in autostrada e nella proprietà del civico 55 di via Prati.
Quest’ultimo mostra la sagoma di un’auto (simile alla Ford C Max intestata alla 32enne) andare oltre il viadotto, fare un’inversione a “U” per fermarsi in cima al cavalcavia sostando meno di due minuti prima di rientrare nel cancello di casa Favero-Zanola, il civico 8.
Infine c’è il depistaggio messo in atto da Andrea Favero, la mattina del ritrovamento del cadavere, quando invia un sms al cellulare di Giada mai recuperato dagli investigatori («Sei andata al lavoro?? Non ci hai nemmeno salutato!»), tentando di accreditare la volontaria scelta della donna di uscire di casa per suicidarsi.
«L’ho afferrata per le ginocchia e spinta giù» è stata la confessione di Favero a quasi 15 ore dalla tragedia nella caserma della Polstrada di Padova, senza l’assistenza di un difensore (da qui l’inutilizzabilità delle sue dichiarazioni).
Parole mai più pronunciate, salvo altre parziali ammissioni: «Siamo scesi dall’auto, ma qui tutto si annebbia».
Ecco quello che è accaduto nella notte tra il 28 e il 29 maggio scorsi secondo la ricostruzione della procura: Giada e Andrea hanno l’ennesimo litigio.
La storia è ormai finita, Giada vive un nuovo amore e insiste affinché Andrea lasci la casa di Vigonza.
A questo punto la 32enne potrebbe essere stata tramortita o resa inoffensiva con le benzodiazepine, caricata con facilità in macchina e lanciata dal cavalcavia intorno alle 3.30.
Come fosse un sacco della spazzatura e non un essere umano.
Davanti al pm Falcone (alla presenza del difensore) Favero ha parlato di vuoto di memoria: lei sarebbe uscita di casa in leggins e maglietta, lui in macchina l’avrebbe seguita convincendola a salire a bordo della Ford per rincasare.
E l’ultimo flash: «Siamo scesi dall’auto ma qui i ricordi si annebbiano... Ricordo solo che mi continuava a ripetere che mi avrebbe tolto nostro figlio... Non ricordo se siamo saliti sul gradino della ringhiera... Non ricordo che sia caduta dal parapetto... So solo che ho pensato a mio figlio che era da solo... sono tornato a casa e mi sono steso a letto al suo fianco».