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Autonomia, cosa succede adesso? Le prossime tappe in dieci punti

Cosa cambia nel concreto, da oggi, con l’autonomia differenziata che la Lega ha salutato come una «vittoria storica»? Nulla. Il processo sarà lento e sotto il rigido controllo di Palazzo Chigi, che guiderà la “cabina di regia”. La parola d’ordine è una sola: senza i Lep non si aprono trattative e non si firmano intese.

Chi pensa di aver spalancato le porte al “federalismo à la carte” con le Regioni che possono ottenere una o tutte le 23 materie dell’articolo 117 della Costituzione non ha fatto i conti con i tempi del sistema-Italia.

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Per entrare a pieno regime la legge Calderoli richiede almeno tre anni: cinque mesi se ne andranno per la firma degli accordi e altri due anni per l’approvazione dei Lep, l’architrave dei servizi sociali da finanziare con i costi standard.

1. Le competenze

Ventitré materie concorrenti con lo Stato

La legge sull’autonomia differenziata, approvata in via definitiva dalla Camera, consente alle 15 regioni a statuto ordinario (Veneto, Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Marche, Umbria, Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia e Calabria) di ottenere la gestione delle 23 materie esercitate in concorrenza con lo Stato, dopo la firma di un’intesa bilaterale.

Lo prevede la Costituzione agli articoli 116 e 117, modificata dal governo Amato e approvata dal referendum costituzionale sul titolo V celebrato il 7 ottobre 2001. Il ministro Calderoli ha presentato nel 2023 una legge ordinaria di procedura ordinamentale di 11 articoli, modificata in commissione e approvata ieri in via definitiva dal Parlamento, in cui si delineano le modalità di trasferimento dei poteri.

Oltre a Veneto e Lombardia che hanno chiesto tutte le 23 materie dopo il referendum del 22 ottobre 2017, anche l’Emilia Romagna ha partecipato ai negoziati con i governi fin dal 2018 e procedure analoghe sono state avviate da Piemonte, Liguria, Toscana e Campania, Umbria, Lazio e Marche.

2. I Lep, Livelli essenziali delle prestazioni

Dagli asili alle cure, i servizi minimi per tutti

Sono l’architrave della riforma. I Lep definiscono i livelli minimi dei servizi sociali da garantire in maniera uniforme sul territorio nazionale, da Belluno a Reggio Calabria.

Stiamo parlando degli asili nido, dell’istruzione di ogni ordine e grado compresa la ricerca scientifica, della salute e del diritto al lavoro e sono obbligatori per 14 materie su 23 (vedi tabella qui a fianco). Il modello è stato copiato dalla sanità, dove i Lep si chiamano Lea, livelli assistenziali, finanziata nel 2018 con 128 miliardi di euro, 10, 4 dei quali al Veneto.

Calderoli ha nominato un comitato scientifico con 38 studiosi, guidato dall’ex ministro Sabino Cassese, che dovrà concludere il lavoro sui Lep nell’arco di 24 mesi, poi il governo approverà un Dpcm (decreto del presidente del Consiglio). Il presidente Zaia ha nominato quattro esperti: Mario Bertolissi, costituzionalista emerito all’Università di Padova; Andrea Giovanardi, docente di diritto tributario all’Universistà di Trento; Ludovico Mazzarolli e Luca Mezzetti, docenti di diritto costituzionale negli atenei di Udine e Bologna.

3. L’intesa

La Regione fa la richiesta, negoziato col Governo

La procedura è molto complessa e il primo passo spetta ai presidenti della giunta regionale: Luca Zaia nella scrivania di palazzo Balbi ha già scritto da mesi il documento da inviare alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni per avviare la richiesta con il negoziato che porterà alla firma dell’intesa.

Il Veneto e la Lombardia avevano già chiesto ai ministri Erika Stefani, Francesco Boccia e Mariastella Gelmini nella scorsa legislatura, di ottenere tutte le 23 materie con l’autonomia differenziata, un muro che sembra graniticamente invalicabile a tutela degli equilibri dell’unità del Paese. L’Emilia-Romagna si era invece fermata a 15.

E così Calderoli ha suggerito la strategia dei piccoli passi: il Veneto partirà dalle 9 materie “free-Lep” per non restare a mani vuote altri 24 mesi. E la gestione del commercio con l’estero con una cabina di regia a Venezia può spalancare grandi opportunità per la galassia di 400 mila imprese che trascinano l’export a 81,9miliardi di euro nel 2023, pari al 13 per cento del nazionale.

4. La procedura

L’intesa diventa legge a maggioranza assoluta

È uno dei punti più tortuosi e controversi perché impedisce al Parlamento di emendare in aula lo schema delle intese: secondo il governo si tratta di un atto bilaterale tra due presidenti, quasi alla stregua degli accordi con i Paesi stranieri. Ecco in sintesi lo schema: la proposta d’intesa viene approvata dal Consiglio dei ministri e inviata alle commissioni di Camera e Senato che potranno formulare delle osservazioni ma senza potere di veto.

Il testo poi approderà prima in Consiglio regionale e poi nelle aule parlamentari: per essere approvato ci vuole la maggioranza assoluta. L’intesa resterà in vigore 10 anni. E la minaccia di referendum paventata da Pd e M5s e dai comitati guidati dal costituzionalista Villone in Campania, che parlano di “spacca-Italia”?

Anche se la riforma Calderoli venisse abrogata nelle urne, resterebbero sempre in vigore gli articoli 116 e 117 della Costituzione, che autorizzano la firme di nuove intese con le Regioni sulle 23 materie. Il braccio di ferro può ripartire, magari con una nuova legge, salvo modificare il Titolo V della Carta.

5. I tempi

Minimo cinque mesi per ciascuna materia

L’iter avrà una durata minima di cinque mesi, compresi i 60 giorni concessi al Parlamento per esaminare le richieste. Il negoziato parte dal Mef che entro 60 giorni dovrà indicare i costi del trasferimento delle materie che la Regione si candida a gestire. Quando la proposta d’intesa sarà ultimata, la premier Meloni convocherà il presidente della giunta regionale al Consiglio dei ministri per la firma e il via libera.

Qui inizia la seconda fase: il testo verrà sottoposto all’analisi di diversi soggetti istituzionali, dalla Conferenza delle Regioni, all’Anci per il giudizio dei comuni e delle città metropolitane. La fase di interlocuzione richiede almeno cinque mesi. Nella migliore delle ipotesi si va verso Natale e Zaia vuole tagliare il traguardo per primo. L’unica intesa preliminare firmata in tempi rapidissimi è quella del governo Gentiloni tra il sottosegretario Bressa con Zaia, Maroni e Bonaccini il 28 febbraio 2018 relativa a cinque materie: politiche del lavoro, istruzione, sanità, tutela dell’ambiente ed ecosistema, rapporti internazionali con l’Unione europea.

6. La commissione paritetica

Sul modello dei Dodici del Trentino Alto Adige

Appena approvata dal Parlamento l’intesa bilaterale, a gestire il trasferimento dei poteri da Roma alle Regioni più che il governo sarà una commissione paritetica ad hoc. Un modello che ricalca i poteri e le funzioni svolte fin dal 1970 dai 12 “saggi” delle province di Trento e Bolzano, veri plenipotenziari nominati con legge costituzionale.

Forme analoghe ovviamente sono in vigore per il Friuli Venezia Giulia e nelle altre tre regioni a statuto speciale. La commissione paritetica prevista dalla legge Calderoli coinvolge il Mef, la Regione, l’Anci e l’Unione delle Province e anche i sindacati.

Questi “esperti” dovranno non solo quantificare le risorse, ma valuteranno ogni biennio lo stato di attuazione dell’autonomia e dei Lep. Il primo vero test sarà la gestione del trasferimento del personale: a Roma i sindacati stanno organizzando le barricate, a partire dai dirigenti dei ministeri della Pubblica istruzione e dei Beni culturali che considerano irricevibile la richiesta di “devolution” delle Sovrintendenze.

7. I criteri per la parte finanziaria

Oggi la spesa storica, domani i costi standard

La vera rivoluzione in termine di efficienza e taglio del deficit sarà il passaggio dal criterio finanziario della spesa storica a quello dei costi standard. Cosa vuol dire? Le nove materie “Free Lep” possono essere assegnate alle regioni solo in base a quanto oggi spende lo Stato.

Facciamo un esempio: il budget del commercio con l’estero, gestito dall’Ice a Roma, va diviso per 20, e al Veneto ne spetta una quota parte. Più complicato il calcolo delle 14 materie sottoposte ai Lep. In questo caso il Mef (Ministero economia e finanze) dovrà calcolare prima il fabbisogno standard di ogni servizio sociale.

Ad esempio: quanti asili nido vanno garantiti? Almeno 33 posti per ogni 100 bambini fino ai tre anni, un vincolo finanziato dall’Unione europea con il Pnrr e affidato ai Comuni. E quante case di riposo per i nonni? I fabbisogni standard sono affidati ad una commissione ad hoc guidata dalla Sose, che poi deciderà anche il costo standard per evitare sprechi. Sarà possibile che una siringa costi dai 10 ai 15 centesimi in tutt’Italia?

8. Le tasse

Il Veneto potrà trattenere quote del gettito fiscale

È il cuore della riforma Calderoli: per la prima volta si stabilisce che la Regione potrà trattenere parte del gettito Iva e Irpef per finanziare le nuove competenze. Più che alle dispute ideologiche sul residuo fiscale conviene affidarsi agli esempi pratici e parlare della scuola, che Veneto e Lombardia vogliono gestire in autonomia.

Se la premier Meloni dovesse dare il via libera, a pagare gli insegnanti non sarà più il ministero della Pubblica istruzione a Roma ma Palazzo Balbi a Venezia. Proviamo a fare due conti: la spesa primaria per l’istruzione è scesa dai 50,4 miliardi del 2000 ai 47 del 2020, con un valore pro capite di 790 euro per abitante con una flessione di 100 euro. La Lombardia ha utilizzato il 15% delle risorse, la Campania il 10,3 seguita dal Lazio con il 9,7 e dalla Sicilia con l’8,6%.

Il Veneto si è fermato all’8% con 3,8 miliardi. Questi soldi invece di finire alla tesoreria del Mef a Roma verrebbero trattenuti direttamente dal gettito Iva e Irpef maturato in Veneto per coprire i servizi scolastici. Questo modello va poi replicato per tutte le altre materie.

9. Le risorse

Vietati oneri aggiuntivi a carico del bilancio

È il vero punto debole della riforma Calderoli. Nella legge di bilancio non sono previste le risorse per finanziare i Lep e il rebus verrà sciolto tra due anni, appena il Comitato guidato dal professor Cassese presenterà il dossier sulle quattordici materie con la quantificazione delle risorse da assegnare.

Si parte dalla ricognizione della spesa storica degli ultimi tre anni dello Stato in ogni singola regione, la delega è stata affidata alla Sose, braccio operativo del Mef di Giorgetti: i Lep saranno adottati con un decreto del presidente del Consiglio e poi trasmessi ai singoli ministeri e alle commissioni parlamentari per l’analisi dei profili finanziari.

Poi il decreto legislativo sarà emanato. La legge prevede l’obbligo per ciascuna intesa di “non derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Il fondo di perequazione per annullare il gap delle infrastrutture tra Nord e Sud e aree metropolitane è stato cancellato e fino al 2026 si potranno spendere le risorse del Pnrr, in base ai progetti rivisti e approvati dal ministro Fitto.

10. La clausola di salvaguardia

Lo Stato si riserva un potere di veto

La riforma Calderoli è sottoposta al controllo della presidenza del Consiglio dei ministri che si riserva il diritto di veto sulla cessione delle materie considerate strategiche per l’interesse nazionale. Ne fa riferimento l’articolo 2: Il governo “può limitare il negoziato ad alcune materie al fine di tutelare l’unità giuridica e politica” del Paese.

Insomma, ottenere tutte le 23 competenze sarà impossibile per Zaia e Fontana che ne hanno fatto richiesta. I punti nevralgici riguardano l’istruzione e la ricerca scientifica, le grandi reti di trasporto e nevigazione, l’ordinamento della comunicazione. E soprattutto la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia.

Difficile frammentare in 20 microrealtà le reti Terna ed Enel. La rivolta della Puglia contro il gasdotto Tap è un campanello d’allarme e anche lo stop del Veneto all’estrazione di metano in mare è una faccia della stessa medaglia. Il governo poi si riserva il diritto di revocare l’autonomia e commissariare le regioni con un piede nel baratro del deficit di bilancio.

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