Tra una sigaretta elettronica e l’altra, Roberto Calderoli, il padre dell’Autonomia differenziata che da qualche ora è legge, bolla come una «fesseria» – per non mettere nero su bianco un termine più colorito – l’accusa che la sua riforma dell’autonomia spacchi l’Italia. Per dimostrarlo snocciola esempi e annuncia che il fondo perequativo solidaristico di cui tanto si parla sarà costituito dai soldi già oggi restituiti ogni anno allo Stato dalle regioni del nord che producono più entrate rispetto alle loro spese. Con una novità essenziale: quei 94 miliardi l’anno verranno messi in un «vaso trasparente da cui si potrà vedere chi versa, chi spende e come».
Quanto tempo richiederà il calcolo dei Livelli Essenziali di Prestazione (Lep) per i diritti civili e sociali, propedeutico all’attribuzione di funzioni alle regioni?
«Definiremo il quadro normativo entro l’estate, il successivo passaggio sarà definire il costo e il fabbisogno standard rispetto a quei Lep. Per fine anno una buona parte di quelle materie Lep le avremo normate. Le Regioni possono però subito cominciare a trattare sulle nove materie non Lep, che non sono secondarie: protezione civile, professioni, ordinamento sportivo. Poi procederanno con le altre».
L’obiezione principale è che la legge mini il principio dell’unitarietà della finanza pubblica e dello stato, sbagliato?
«Chi lo dice dice una caz… ops una fesseria. La legge prevede che non ci siano maggiori oneri per la finanza pubblica, ma che nel caso vi siano, lo Stato supplisca».
Perché una parte della Confindustria teme che le imprese si trovino con sistemi diversi regione per regione con cui fare i conti, in una giungla di normative su scuola, infrastrutture?
«A sollevare critiche è stata solo Confindustria Campania. Confindustria nazionale mi ha presentato un quesito rispetto alla produzione e distribuzione dell’energia, che parzialmente condivido. Deciderò quando andrò ad attribuire quella singola materia alle regioni. La regione Toscana ad esempio mi chiede la competenza sul geotermico. Perché a loro che hanno la produzione del 40 per cento di cui beneficia solo lo Stato non deve andare nulla? Il mio progetto è attribuire una royalty alla Toscana come abbiamo fatto con gli impianti di estrazione in Basilicata, in cui il cittadino non paga luce e gas. Si attribuisce quella entrata alla regione che produce quella risorsa e che si accolla anche l’impatto ambientale per l’estrazione. E quella regione gestisce».
Questa legge attua principi dell’articolo 116 della Costituzione voluto nel 2001 dal centrosinistra, perché non siete riusciti a concertarla? Scarsa volontà di dialogo?
«Il dialogo c’è stato fino a quando Bonaccini, il governatore dell’Emilia-Romagna, ha perso il congresso del Pd. Fino ad allora avevamo lui tra i più strenui sostenitori dell’autonomia differenziata. Poi si è fermato tutto».
Lui dice che quel progetto di Autonomia era ben differente.
«Sì ed era era molto più estremista. Lui voleva prendersi le materie che il Pd metteva già in discussione, come sanità e istruzione, richiesta condivisa con Veneto e Lombardia. E sarebbero partiti per un lungo periodo usando il criterio della spesa storica. Senza prevedere, se non a livello programmatico, la fissazione dei Lep. E c’era un altra cosa nascosta».
Cosa?
«Un riferimento al residuo fiscale che sarebbe rimasto alle regioni che lo producono. Quindi dico, non venitemi a rompere le scatole su questo punto».
In che senso?
«Ecco i numeri. Ci sono 20 regioni in Italia e di queste sette, tra cui Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, hanno un residuo fiscale. Che è la differenza tra quello che il sistema – Stato, Comuni, Province e Regioni – spende in quella regione rispetto a qualunque tipo di entrate in quella stessa regione. Se hai il segno meno, vuol dire che spendi meno rispetto a quello che ti entra. L’ultra gettito è 94 miliardi di euro. Queste sette regioni danno alle altre regioni che hanno una capacità contributiva inferiore, 62 miliardi l’anno, perché 32 se li tiene lo Stato».
Potrebbe diventare questo quel fondo perequativo per sostenere l’autonomia differenziata?
«Esatto. Il fondo può derivare dal mettere quei 94 miliardi in un bel vaso trasparente dove vedo però chi li versa, chi li prende tra Stato e Regioni e soprattutto che fine fanno, chi li spende. Oggi questa perequazione viene fatta dal Mef e dalla Ragioneria attraverso dei flussi finanziari. Vengono buttati in una centrifuga e nessuno sa più nulla. Quindi vorrei far diventare fondo perequativo questi residui fiscali con un principio solidaristico di chi ha maggiori capacità fiscale verso le altre regioni».
E cosa ci guadagnano le regioni più ricche?
«Faranno un investimento al posto di assistenzialismo. Io ti do una mano e tu mi dimostri di aver riscosso i tributi locali a livello di ciò che si può raccogliere. Ma non possono più rispondere che riscuotono solo il 20 per cento a causa di camorra e malavita organizzata… Se affronto questo problema affronto un problema Paese, altro che spacca Italia».
Quanto corrisponde questa riforma al disegno federalista di Gianfranco Miglio, che fu la bandiera della Lega?
«Mio nonno Guido e Miglio sostenevano un principio estremista, “Bergamo nazione, tutto il resto meridione”. Entrambi dicevano che ciascun territorio doveva tenersi le proprie risorse fiscali. Io faccio un altro ragionamento in un sistema Paese. Solidarietà sì, ma considerando che da 35 anni il Pil medio pro capite di un cittadino del Sud è il 56 per cento di un cittadino del Nord, chi rifiuta la mia idea è razzista verso il cittadino del Sud: che deve poter far crescere il proprio Pil per non dover più elemosinare assistenzialismo. Il punto di arrivo è una Italia federalista, ma che corra alla stessa maniera». —
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