Sono trascorsi sei mesi dal femminicidio di Giulia Cecchettin, l’11 novembre 2023. Lo scrittore Marco Franzoso e il papà di Giulia, Gino, che hanno scritto insieme il libro “Cara Giulia: Quello che ho imparato da mia figlia” , raccontano in questo articolo il significato profondo dell’esperienza vissuta girando l’Italia per presentare il libro.
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Intendiamo questo libro soprattutto come una testimonianza in grado di porre delle domande: cosa sta accadendo nel mondo? Cosa si è rotto nelle relazioni tra le persone? Cosa stiamo sbagliando noi genitori nei confronti dei nostri figli? Questo libro è un modo per riflettere insieme, adulti e ragazzi. In tutti gli incontri, tanti, belli, sentiti e intensi, ci ha colpito fin da subito l’attenzione: le persone sono concentrate, c’è un silenzio straordinario.
Ci ha fatto riflettere il fatto che dalle prime presentazioni sia cambiata la composizione del pubblico. All’inizio si trattava soprattutto di un pubblico femminile e adulto, da qualche tempo invece stanno aumentando gli uomini e soprattutto i ragazzi, giovani uomini che si chiedono cosa fare in quanto maschi per migliorare la situazione e la società nella quale viviamo. La giovane età di Giulia ha rappresentato una chiave di identificazione potente, molti adulti si sono identificati nel ruolo di mamme e papà.
Il primo elemento che ha colpito nella vicenda di Giulia è proprio che ha riguardato due ragazzi di 20 anni. La prima domanda che ci siamo posti e che ci viene posta è: quali strumenti non siamo stati in grado di dare? Ma Giulia è stata anche una fidanzata, un’amica ed è qui che scatta l’identificazione del pubblico più giovane. Questo ti fa molto piacere perché se ci sarà un cambiamento sarà grazie a loro, ed è soprattutto a loro che il libro e gli incontri sono rivolti. Ci sono quattro parole che si ripetono di continuo, ad ogni incontro, e che vorremmo condividere ora con voi.
La prima è “ascolto” : troppo spesso i nostri ragazzi non si sentono ascoltati, anzi sembra addirittura che li teniamo a distanza. Troppo spesso il tempo che trascorriamo con loro è di bassa qualità: siamo lì, siamo presenti – quando non lavoriamo, quando non siamo distratti dalle numerose occupazioni – ma non giochiamo, non dialoghiamo, non abbiamo interazioni vere, empatiche. Dobbiamo fare il primo passo noi genitori, ascoltando davvero i nostri figli, dando loro del tempo di qualità, condividendo quel tempo, che a ben guardare è ciò di più prezioso che abbiamo. Sia nella stesura del libro che durante le presentazioni abbiamo evitato alcune parole tradizionali, a cui siamo purtroppo abituati: violenza, rabbia, vendetta, mostro, raptus. Le abbiamo evitate perché non servono, sono frutto di un pensiero sbagliato, non aiutano e finiscono per creare confusione o per portare la questione sui vecchi binari. Abbiamo provato a cambiare registro, abbiamo provato ad ascoltare l’insegnamento di Giulia: mite e silenziosa, dunque la seconda parola è “grazia” , la grazia, la gentilezza di Giulia nelle relazioni e nella vita. E arriviamo alla terza parola: “riconciliazione” .
Tutto questo progetto ha al centro la parola riconciliazione: innanzitutto con noi stessi e con i nostri ragazzi. Cercare cioè di metterci al servizio della costruzione di una società che non sia società dello scontro. Tra le parole che spesso si usano quando si parla di femminicidio ci sono “guerra”, “battaglia”, sono parole lecite perché i femminicidi sembrano bollettini di guerra, ma noi adulti – soprattutto se genitori – abbiamo il dovere di cercare delle strade riconcilianti, con l’obiettivo di realizzare una società in cui le ragazze e i ragazzi possano essere felici e sentirsi a casa.
Perché oggi in questa società non sempre ci stanno bene. E per costruire una società più umana bisogna avere grazia, che significa avere gentilezza, essere accoglienti verso l’altro. Siamo due uomini che parlano della questione di genere perché non è una questione che riguarda solo le donne, ma tutti; non è un percorso che devono compiere le donne e basta, anzi, in primis tocca a noi uomini. Il vero cambiamento dobbiamo farlo in noi, intimamente, innanzitutto nella nostra scala di valori. Questo è un percorso di civiltà per arrivare all’uguaglianza vera tra i generi. Siamo noi uomini, in primis, la causa di questa disuguaglianza, e siamo noi che dobbiamo rimetterci in discussione con la massima onestà e trasparenza. Ed ecco l’ultima parola, la quarta: “insieme” . Per raggiungere l’autentica riconciliazione dobbiamo essere insieme.
