CASSOLNOVO. Un delitto «frutto di una precisa deliberazione del gruppo familiare, pensato ed eseguito da persone armate con le modalità tipiche dell’agguato», in cui gli esecutori materiali sono rimasti «insensibili alle suppliche della vittima» e in cui ha avuto un ruolo di concorrente morale anche la moglie e madre degli altri due imputati «che ha tenuto impegnata la vittima in una lunga conversazione telefonica che ne garantisse la localizzazione».
Per la Corte di Assise di Pavia, dunque, ci fu un piano familiare alla base dell’omicidio di Mohamed Ibrahim, il 44enne ucciso nel capannone di Cassolnovo la notte dell’11 gennaio 2023 e trovato carbonizzato tre giorni dopo nella sua auto, alla frazione Morsella. È la sintesi delle motivazioni, depositate pochi giorni fa, della sentenza di condanna a 30 anni di carcere per Antonio Rondinelli, 65 anni, la moglie Carmela Calabrese, 57 anni, e il figlio Claudio, accusati di omicidio e occultamento di cadavere. A questo punto le difese (Guglielmo Panucci per Antonio Rondinelli, Francesca Quarto per il figlio e Rosemary Patrizi per Calabrese) potranno fare appello.
Il movente e il verdetto
La Corte di Assise presieduta dalla giudice Elena Stoppini a giugno aveva pronunciato un verdetto di colpevolezza per i tre imputati (un altro figlio di Antonio Rondinelli, Massimo, aveva confessato ed era stato condannato a 19 anni in abbreviato). A Calabrese è stata inflitta anche una pena più alta rispetto ai 16 anni chiesti dal pm Andrea Zanoncelli. Stando a quanto ricostruito dal processo Antonio e Claudio Rondinelli, padre e figlio, avrebbero avuto nell’omicidio un ruolo materiale, la donna invece un concorso morale. Mohamed Ibrahim, genero di Antonio Rondinelli avendo avuto una relazione con la figlia Daniela, da cui era nata una bambina, era stato ucciso a colpi di fucile e pistola nel capannone che i Rondinelli gli avevano ceduto per mandare avanti l’attività di frutta e verdura. Il giorno dell’omicidio c’era stata a casa dei Rondinelli, a Cilavegna, una discussione con Ibrahim, al pomeriggio. Una lite che richiama il movente: le pressioni che la vittima faceva alla famiglia Rondinelli per farsi intestare un appartamento dove poter prendere la residenza e chiedere così l’affido esclusivo della figlioletta. Dopo questa discussione erano seguite una serie di telefonate tra i componenti della famiglia, chiamati da Carmela Calabrese. Poi, verso le 21, l’omicidio, preceduto da una telefonata di 20 minuti della donna alla vittima.
La telefonata e l’agguato
Una telefonata, secondo i giudici, che avrebbe permesso «a marito e figli di tendere un agguato alla vittima» nel suo capannone, per «risolvere definitivamente la questione dei rapporti con l’ex compagno di Daniela, divenuto ormai una figura ingombrante». Il delitto, per i giudici, è stato eseguito da «persone che si sono dimostrate in grado di procurarsi in poco tempo una pistola, tre fucili e munizioni» , che hanno infierito sulla vittima con ripetuti colpi» e che «subito dopo l’omicidio hanno ripulito la scena del crimine dai bossoli e si sono sbarazzati delle armi, mai più recuperate» e già «il giorno seguente hanno recuperato il cadavere che hanno poi bruciato». Nessuno degli imputati, si legge, «ha mai manifestato un genuino sentimento di commozione per la morte della vittima e nessuno di loro ha fornito alcun contributo alla ricostruzione dei fatti».
A genitori, sorella e zio risarcimenti per 760mila euro
La Corte di Assise di Pavia ha anche disposto risarcimenti per i genitori, la sorella e uno zio della vittima, parte civile con l’avvocato Fabio Santopietro: gli imputati dovranno pagare in solido tra loro circa 760mila euro. Nella vicenda era rimasto coinvolto anche Luigi D’Alessandro, 36 anni, di Cilavegna, fidanzato di un’altra figlia dei Rondinelli: l’uomo, accusato di avere avuto un ruolo nell’occultamento del cadavere, aveva ammesso i fatti e ha patteggiato un anno e sei mesi. Nella sua confessione aveva tirato in ballo alcuni componenti della famiglia Rondinelli, e in particolare il padre Antonio e i figli Claudio e Massimo, come esecutori materiali del delitto.