PAVIA. Comportamenti negligenti da parte di chi era tenuto a rispettare le norme di biosicurezza e invece le avrebbe violate: l’ipotesi di una responsabilità umana, non legata ad altre cause (come quella dei cinghiali possibili vettori del virus) fa da sfondo alla nuova inchiesta aperta dalla procura di Pavia su questa seconda ondata di peste suina africana, che ha provocato finora 13 focolai in altrettanti allevamenti della provincia di Pavia. Per ora ci sono almeno due indagati, ma potrebbero essere molti di più. Sotto inchiesta un veterinario e un allevatore di Vernate: i carabinieri del Nas di Cremona hanno trovato nell’allevamento, un’azienda a conduzione familiare con un centinaio di suini, nel mese di luglio, una ventina di carcasse di maiali sotterrate nel retro del capannone. Dagli esami sono risultate tutte positive al virus.
Allevamento zero
Proprio la situazione di questo allevamento, dove erano praticamente assenti le misure di biosicurezza, spinge gli inquirenti a ipotizzare che quello di Vernate sia l’allevamento zero (anche se classificato come quarto focolaio in Regione), quello cioè da dove il virus si è propagato con rapidità fino a infettare altri allevamenti. Anche questa però è solo una ipotesi: gli accertamenti dei carabinieri del Nas di Cremona sono ancora in corso. Il veterinario aziendale, che ha frequentato anche altri allevamenti, potrebbe avere avuto un ruolo nella diffusione e la sua posizione è al vaglio, come quella del titolare dell’allevamento.
Ma gli indagati potrebbero salire presto di numero: sotto esame ci sono le posizioni di altri soggetti, su cui gli inquirenti mantengono per ora il massimo riserbo. In procura, sul tavolo della magistrata Valentina Terrile, stanno arrivando in questi giorni, mentre l’epidemia dilaga, decine di esposti, soprattutto da parte di allevatori colpiti, che chiedono ai magistrati di individuare i responsabili della diffusione che ha portato finora all’abbattimento di 56.780 suini in provincia di Pavia.
Norme violate?
Nel mirino ci sono anche i cinghiali, come possibile vettore del virus, ma l’inchiesta della procura di Pavia mira a stabilire se ci sono responsabilità umane nella diffusione. Anche il contatto con cinghiali infetti, peraltro, avviene perché non vengono rispettate le norme di biosicurezza imposte da mesi dalla Regione. Il contagio può avvenire attraverso il contatto diretto con animali malati o tramite alimenti di origine suina oppure attraverso l’uomo con la contaminazione di automezzi aziendali, attrezzature, cibo di origine o contenente carne di maiale. Ma la regole sono chiare: i cacciatori devono pulire e disinfettare le attrezzature, i vestiti, i veicoli e i trofei prima di lasciare l’area di caccia, mentre gli allevatori e chi frequenta gli allevamenti, come i veterinari, sono obbligati al cambio di abbigliamento e calzature quando si entra o si lascia l’allevamento. Gli allevatori inoltre devono notificare subito ai servizi veterinari sintomi riferibili alla Psa e episodi di mortalità anomala. Una prescrizione che nell’allevamento di Vernate non sarebbe stata rispettata.