VIGEVANO. «Quando ho visto la copertina del dossier presentato dal Comune ho pensato a uno scherzo di cattivo gusto». È un fiume in piena Barbara Milan, una delle volontarie della cooperativa Kore che combattono la violenza di genere, dopo aver scoperto che il progetto con cui il Municipio ha presentato la candidatura di Vigevano a capitale dell’arte contemporanea del 2026 è letteralmente preso da quello della mostra internazionale che la Kore ha allestito nel 2021 e che continua (tra le ultime tappe dal 12 al 14 marzo al parlamento europeo di Strasburgo) a girare il mondo.
«L’impostazione grafica – continua Milan – è un collage con il logo della nostra mostra, che è registrato e di cui abbiamo l’uso in esclusiva per i prossimi 10 anni. Il nome “Scarpette rosse” è quasi identico al nostro “Scarpe rosse”»
«La scelta del Comune – prosegue – è completamente fuori luogo: cosa c’entra un simbolo internazionale della violenza di genere (le scarpe rosse col tacco) con un ambito culturale? Siamo rimaste sconvolte, perché nessuno ci ha interpellato».
Non è finita qui. «Faremo una segnalazione su questa violazione – dice ancora Barbara Milan – perché l’obiettivo del Comune di Vigevano non ha alcuna attinenza con noi. Banalizzare un simbolo importante della violenza di genere non è accettabile».
Parole dure a cui fanno seguito però quelle del sindaco, che tenta di dare un’interpretazione diversa di quanto accaduto.
«Il progetto è stato realizzato velocemente – commenta il primo cittadino Andrea Ceffa –. Nel documento ovviamente non si accenna alla violenza di genere, ma in ogni caso mi scuso con la cooperativa Kore per l’accaduto».
Tra le “Scarpette rosse” che tentano di dimostrare che Vigevano ha qualche attinenza con l’arte contemporanea e la mostra organizzata e portata in giro per il mondo dalla Kore c’è in effetti ben poca attinenza, a parte il nome simile e il medesimo simbolo. L’attività delle volontarie aveva portato tra il novembre 2021 e il marzo successivo a presentare un’esposizione con 25 scarpe create appositamente da aziende del territorio e battezzate con un nome di donna; a queste si sono aggiunte altre produzione proveniente dai distretti calzaturieri di Parabiago e delle Marche.
«È un’esposizione che ci viene richiesta di continuo – racconta Barbara Milan –, alcuni modelli anche a una settimana della moda in Kazakhistan. Per noi spostare le scarpe è anche causa di qualche problema organizzativo». Un motivo in più, insomma, per difendere con i denti il frutto del proprio lavoro e del proprio ingegno.
Sui social, ovviamente, si è scatenata la solidarietà verso la cooperativa Kore, ma anche i commenti di scherno verso il documento presentato dal Municipio.