PAVIA. L’attraversamento pedonale di via Scopoli contro cui impattò l’auto di Riccardo Tirelli, morto a 26 anni nel 2019, non era segnalato in maniera corretta. Il cartello di pericolo era vicino al dosso e non a distanza di almeno 20 metri, come prevedono le norme, ma soprattutto non era reso più visibile da luci e lampade: le due presenti non funzionavano. Questa lacuna, insieme alla velocità a cui andava l’auto, calcolata in circa 71 chilometri orari confrontando due fotogrammi di un filmato registrato da una telecamera, per il perito Marco Sartini di Genova, nominato dalla giudice Valentina Nevoso, è tra le cause dell’incidente. «Nella realizzazione di questi manufatti non deve esserci l’elemento sorpresa – ha spiegato ieri il perito in aula –. La presenza di un attraversamento pedonale modifica il tracciato, per far sì che il pedone sia più visibile e che i veicoli rallentino. Quindi va adeguatamente segnalato. Cosa che, nel caso specifico, è stata in effetti poi fatta, tracciando anche le zebre gialle e nere».
Gli imputati
Una perizia super partes, quella dell’ingegnere genovese, che si discosta, almeno in parte, dalle valutazioni svolte dai diversi consulenti nel corso delle indagini: l’ingegnere Pierangelo Adinolfi per la procura, l’ingegnere Mattia Sillo per la parte civile e altri due consulenti per le difese. A processo, per omicidio colposo, ci sono tre persone: l’allora dirigente del settore Mobilità del Comune di Pavia, Luciano Bravi (avvocato Massimo Marmonti), il direttore dei lavori di Asm Pavia Massimo Prina (avvocati Ermenegildo Costabile e Cristina Caruso), il titolare dell’azienda edile Cossali di Dorno che stava realizzando il dosso, Fabrizio Cossali (avvocati Fabio Chiosi ed Enrico Romano). I genitori del ragazzo sono parte civile, con gli avvocati Ivan Giubilo e Laura Sforzini. Anche ieri, come alle precedenti udienze, erano presenti. Nel processo sono rappresentati, come responsabili civili, anche il Comune di Pavia e Asm Pavia.
Gli interrogativi
Il perito, attraverso le domande della giudice, della pm Valeria Biscottini e delle difese, ha ripercorso in aula la sua relazione. Il suo incarico era esaminare tutti i fattori che possono avere avuto un ruolo nell’incidente mortale e determinare il peso di ciascuno. Che ruolo ha avuto l’attraversamento pedonale nella morte del giovane? E quanto, invece, hanno inciso altri elementi, come la velocità, il fatto che il giovane non indossasse le cinture o che avesse bevuto prima di mettersi alla guida? Non per tutti gli interrogativi il perito è arrivato a una conclusione certa (ad esempio sul mancato uso delle cinture), ma per il consulente la velocità e la segnaletica carente hanno avuto il peso maggiore. E il dosso?
La classificazione
Il perito ha spiegato che quello di via Scopoli è un attraversamento pedonale e non un dosso e che non esiste una normativa specifica su come realizzare questi manufatti, ma solo linee guida che danno «un’idea di come costruirli».
«Il manufatto che ho potuto visionare era stato in parte modificato, le rampe erano state allungate e aveva una pendenza inferiore – ha spiegato il perito –. Al momento dell’incidente, comunque l’attraversamento pedonale era alto circa 11 centimetri e la pendenza era dell’11%». Nel disegno (non un vero e proprio progetto) di come doveva essere costruito l’altezza era invece di 7 centimetri e la rampa di 1,20 metri. «La pendenza reale era quindi notevole – ha spiegato – tanto che erano arrivate lettere di lamentele dalla società dei bus». Ma cosa sarebbe accaduto se la pendenza fosse stata minore? «Con una rampa meno pendente l’automobilista avrebbe avuto più spazio per reagire – ha risposto il perito –. Avrebbe avuto più possibilità di evitare l’impatto».
