foto da Quotidiani locali
Dopo due anni torna al Fraschini con lo stesso compagno di avventure. Da venerdì a domenica Franco Branciaroli (76 anni) in palcoscenico con un altro mostro sacro, l’89enne Umberto Orsini (la cui intervista uscirà nei prossimi giorni) insieme interpretano “Ragazzi irresistibili” di Neil Simon (venerdì e sabato ore 20.30, domenica ore 16).
Branciaroli, state facendo tutto esaurito ovunque, al Piccolo di Milano, a Parma, ora a Napoli. Qual è la ragione di questo successo?
«Neil Simon è un genio della drammaturgia. I ragazzi irresistibili è un testo importantissimo che fa ridere molto, perché la vita fa ridere (se non vuoi piangere) ma è anche profondamente serio».
Due anni fa lei e Orsini avete fatto insieme “Pour un oui or pour un non”. Questo sodalizio piace?
«Dipende cosa fai, se sbagli spettacolo non ti segue nessuno. Scusi, ma lei mi ha già intervistato?»
Sinceramente no, perché?
«Perché io sono pavese».
Certo, alla presentazione della stagione del Fraschini si è presentato così: “Buonasera, sono un attore pavese”. Ma in realtà lei è nato a Milano...
«Abito a Pavia da anni, dal 2000».
E come si trova?
«Mi trovo benissimo. Abito a cento metri dal Ticino, in una ex fattoria a due passi dal centro. Adoro la città, le sue chiese sono tra le più belle del mondo. Adoro San Teodoro»,
Forse è una città poco valorizzata...
«Grazie a Dio. Io ora sono a Napoli, una città che sta per essere distrutta dal turismo. Il turismo è devastante. Gli alberghi, anche qui, cominciano a costare tantissimo. Per fortuna ci sono i B&B, se non ci fossero i prezzi degli alberghi triplicherebbero. I ristoranti, poi... ci sono solo trattorie per turisti. Pavia così si preserva. Essendo stata classificata “città morta” da Cesare Cases (il noto germanista e traduttore, ndr.) si salva».
Lei abita a due passi dal Ticino, ma il fiume non se lo fila nessuno, non è vero?
«E meno male, va bene così. Il Borgo è bellissimo, c’è la memoria storica della città. E nessuno si ricorda che Pavia è stata capitale di un impero».
Com’è arrivato a Pavia?
«Mia moglie è di Pavia. Cercavamo una casa di un certo tipo e qui l’abbiamo trovata».
Milano le manca?
«Ci vado, ma non mi manca».
E cosa pensa del Fraschini e della sua programmazione?
«Non essendo un teatro di produzione, fa quel che può. Programma anno per anno con quello che c’è»
Voi restate un eccellenza?
«Certo, in giro c’è gente che recita con il microfono».
Voi non li usate?
«Mai. Senza microfoni un certo tipo di attori non sarebbe mai saliti in scena. Con il microfono può farla franca un sacco di gente. Devo dire che il pubblico, composto in maniera cospicua da anziani sordi, apprezza questi microfoni, perché non fa fatica. Ma stare tesi e cercare di ascoltare, fa parte del gioco. Con il microfono c’è una recitazione di gola: questo fa si che le parole non sembrani urgenti. Con il microfono tutto diventa banale. Mentre il teatro è un luogo dove dovrebbero essere pronunciate solo parole necessarie».
Veniamo a questi “Ragazzi irresistibili”, è ancora attuale?
«Neil Simon era un genio. Come Woody Allen usa un umorismo ebraico. Sul palcoscenico ci sono due vecchi che devono morire. Ma Simon lo racconta in modo brillante. In America devi incollare il pubblico alla poltrona, se il drammaturgo non è abile, lo mandano a casa subito. Lì il teatro non è sovvenzionato».
Lei e Orsini siete due attori maturi. Ha paura di morire?
«La paura sarebbe il meno, ho l'angoscia. La paura si può vincere, basta avere coraggio. L’angoscia non la vince nessuno. Da parecchi anni vivo con questa angoscia»
Ha dei rimpianti?
«No, perché ho avuto una vita fortunata, ho avuto libertà di scegliere».
Come ha iniziato?
«Per caso, a vent’anni. Quando sono salito sul palcoscenico ho capito che avevo tutto: mezzi vocali, fisici. Il pubblico mi ascoltava, mi seguiva».
Lei ha fatto anche un po’ di cinema...
«.., poco. Non mi sento bravo».
«Le piace il rapporto con il pubblico?
«Ma va... quelle sono tutte balle. Ci sono le luci, non vedi niente. Ha un contatto con il pubblico chi racconta barzellette».
C’è stato un regista più importante, per lei?
«Ronconi. Il suo teatro era la vita».
Con Umberto Orsini sembrate molto affiatati.
«In scena non puoi che stare bene, altrimenti c’è rivalità. E cominciano i dispetti. Ma con Umberto lavoro bene».
