GARLASCO. Aneddoti, curiosità e inediti dei primi 25 anni del Festival della canzone, dal 1951 al 1976, quando si teneva ancora al Casinò di Sanremo. Sabato, alle 21.15, Bruno Gambarotta e Claudio Porchia saranno al teatro Martinetti di via Ss. Trinità per inaugurare la stagione 2024: la serata sarà impreziosita dalle canzoni eseguite dagli allievi del laboratorio “Una città per cantare”, fondato e coordinato da Rosalino Cellamare in arte Ron. Gambarotta, 86 anni, astigiano trasferitosi a Torino, anticipa qualche passaggio del libro “Sanremo Story” di Porchia, di cui ha scritto la prefazione.
Cosa ricorda delle prime edizioni?
«Nel 1958 un esordiente sta provando la sua canzone, “Nel blu dipinto di blu”. Il regista Vittorio Brignole ordina al suo aiuto Massimo Scaglione: “Vai a dire a quel Modugno che canti quello che vuole, ma che non faccia quei salti che lo fanno uscire dall’inquadratura”. E “mister Volare” abbozza. Le trasmissioni televisive chiudevano alle 23, anche se il festival non era terminato».
In quegli anni lei era un cameraman della Rai.
«Nel 1965 sono sul palcoscenico per inquadrare il direttore d’orchestra e la sala. Di fianco a me, i cantanti in attesa di entrare in scena. Iva Zanicchi, al primo festival con “I tuoi anni più belli” in coppia con Gene Pitney, non obbedisce al cenno dell’aiuto regista e resta bloccata. Dalla regia sento un ordine in cuffia: “Va’ a darle una spinta”. Ho esagerato e per poco Iva non finisce giù dal palco».
Come si viveva allora il Festival?
«In un clima molto familiare. Il giorno prima i cantanti partecipavano tutti alla messa, anche Claudio Villa noto mangiapreti, e si portavano le valigie fino in camera. Mangiavamo tutti insieme alla mensa del Casinò, mentre oggi i cantanti sono inavvicinabili, girano con scorta e addetti stampa».
Come vede il Festival di oggi?
«È diventato una sorta di monumento della storia italiana, per cui si ferma l’intera nazione. Anni fa lo Stabile di Torino mi aveva ingaggiato per recitare monologhi in dialetto piemontese proprio nei giorni del Festival: mi esibivo in teatri vuoti, ma almeno alla fine mi hanno pagato. Il Festival è un po’ come la Settimana santa prepasquale. Mastodontico, elefantiaco. Incredibile che vi abbia partecipato anche Mattarella».
Lei ha lavorato più volte con Adriano Celentano.
«Ricordo Fantastico ’87 e Svalutation del 1992. Non ci vediamo da molto e mi piacerebbe incontrarlo, ma so che esce raramente di casa. Avevo l’impressione che volesse essere sempre circondato da fedelissimi e non da collaboratori. Lo ricordo fragile e magnetico al tempo stesso».
Umberto De Agostino
