PAVIA. Nell’arco di quest’anno hanno abbandonato la corsia in 200, colpiti da quella che è stata identificata come sindrome da burn out. In pratica si sentono prosciugati ed emotivamente esausti, incapaci di far fronte alle richieste del lavoro, stanchi e giù di morale e sentono di non avere abbastanza energia. Sono gli infermieri degli ospedali, pubblici e privati, della provincia di Pavia. E, secondo un’indagine condotta da Fnopi (Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche), «poco più del 45% chi è rimasto si dichiara pronto a lasciare l’ospedale».
In fuga dalla corsia
Il motivo? Un mix di «insoddisfazione lavorativa» generata da «basse retribuzioni, mancanza di carriera e carenza di personale». Complice il Covid, tutto sembra peggiorato in questi ultimi tre anni. Lo spiega Patrizia Sturini, segretaria generale Fp Cgil di Pavia: «L’insoddisfazione tra gli infermieri è palpabile e va crescendo – sottolinea –. Alcuni si spostano da un ente all’altro per una scelta lavorativa: puntano a meno stress e vanno nelle case di riposo. Tanti lasciano per la libera professione perché così possono organizzarsi autonomamente evitando turni pesanti». Senza contare che i liberi professionisti incassano 25-30 euro all’ora (sino a 36 ore settimanali), con un guadagno di circa 4.000 euro al mese, contro i 1.700-1.800 assicurati da uno stipendio medio nel pubblico impiego. «Ma la cosa che più fa scappare gli infermieri sono le condizioni lavorative e la mancanza di organizzazione nelle aziende – conclude Sturini –. Se si continua a spremere il personale con una media di 20-30 straordinari al mese in reparti, come le Medicine, dove ci sono pazienti complessi, ma senza alcun incentivo economico, non stupiamoci che molti se ne vadano. Come invertire la tendenza? Assicurando un compenso economico maggiore e mettendo mano alla politica organizzativa degli ospedali: rivedere i criteri di accreditamento applicandoli alla complessità assistenziale».
Scienze infermieristiche “bloccata”
A confermare il fiato corto che vive la professione è il numero di posti ancora liberi, a inizio dicembre, nella facoltà di Scienze infermieristiche dell’Università di Pavia: sono 135 (su 291 riservati alle professioni sanitarie) e testimoniano un calo drastico di iscrizioni, che conferma il trend degli ultimi anni, nonostante un aumento progressivo dei posti banditi a partire dal 2015. Per l’anno accademico 2014-15, il rapporto candidati-posti era più alto: 487 candidature per 280 posti. Ma nel corso degli anni, il numero di aspiranti infermieri è diminuito. «I più giovani sono scoraggiati dalle difficoltà di cui sentono parlare ogni giorno», sottolinea Cosi.
«La professione infermieristica e medica negli ultimi tre anni è stata messa sotto stress dalla pandemia che ha stremato il personale, in numero già carente, portandolo a non esercitare più – conferma Andrea Galeppi, segretario generale Uil Fpl –. Sono professioni sottopagate che lavorano con numeri che non reggono il sistema. Dobbiamo cercare di incentivare i giovani a proseguire questi studi così da non trovarci domani ancora con meno infermieri e medici. Tutto ciò rendendo appetibile la professione medica/infermieristica, incentivando economicamente il personale e mettendolo in condizione di lavorare dignitosamente».
