l’intervista
PAVIA. «Cos’è FacilityLive? Un sogno in cui abbiamo creduto e in cui abbiamo cercato di mettere a frutto più di 30 anni di esperienza. Una realtà che può ancora essere salvata. Saremo gli ultimi ad abbandonare la nave». Gianpiero Lotito, 64 anni, e Mariuccia Teroni, 60 anni, arrivano per l’intervista a bordo di una utilitaria. «Guida lei perché io non ho la patente», ammette Lotito. I fondatori di FacilityLive, nonché amministratore delegato e presidente, in più di dieci anni di attività della società che voleva creare e lanciare sul mercato un motore di ricerca innovativo, hanno controllato investimenti per 50 milioni di euro, provenienti per lo più da 96 soci, che in quel sogno hanno scommesso. Oggi i due fondatori hanno case con mutuo sequestrate, così come le loro auto e i conti correnti, dove la finanza ha trovato però solo poche migliaia di euro.
Dall’ambizione di creare una società che doveva fare concorrenza a Google a un’indagine penale e una procedura di fallimento in corso. Lotito, cos’è FacilityLive? Un progetto solo troppo ambizioso o un inganno?
«Intanto voglio dire che la narrazione del motore di ricerca che doveva fare concorrenza a Google è stata una semplificazione giornalistica. FacilityLive è un’altra cosa rispetto a Google. Davide contro Golia fa notizia ma noi abbiamo sempre detto ai nostri soci che il nostro mestiere era andare a occupare quel pezzo di mercato che non interessava ad altre aziende. Nel 2013 in sei mesi sono arrivati brevetti in 39 dei 46 paesi dove noi avevamo fatto domanda, ma quando è stato il momento di fare il salto le cose non sono andate come avremmo voluto».
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Qualcuno ricorda il suo passato da musicista. Dai concerti alla tecnologia.
«C’è un nesso forte tra i due mondi. Intanto la musica mi ha dato la possibilità di girare il mondo. Ho origini lucane e insieme a mio fratello facevamo concerti di musica popolare, tarantelle e tammurriate rivisitate in chiave moderna. Durante un concerto negli Stati Uniti, nel 1985, ebbi modo di conoscere da vicino il livello di tecnologia americana. Presi la decisione che non potevo vivere di musica e una volta tornato a Pavia proposi di fare una rivista universitaria».
E quando entra in scena Mariuccia Teroni?
«Proprio in questi anni di Università, io facevo Medicina. Con lei e altri studenti comprammo un Macintosh usato e mettemmo su una piccola società».
Sembra un film già visto. E poi?
«Iniziammo a lavorare a questa rivista universitaria e scoprimmo che con il computer eravamo molto bravi. Ci ritrovammo nel giro di poco tempo a lavorare con editori anche importanti. Dal 2001 cominciamo a lavorare con l’ultima generazione analogica del mondo editoriale, sviluppando progetti in digitale. Di fatto diventiamo traduttori di un mondo che sta cambiando».
Nel 2010 comincia l’avventura di FacilityLive. Come avete fatto a convincere tanti soci a sostenere la vostra idea?
«La nostra tecnologia era considerata tra le più promettenti per il futuro, soprattutto nel campo dei motori di ricerca. Semplicemente hanno creduto nell’idea».
I più critici dicono di non avere capito esattamente che cosa avete fatto per tanti anni al Polo Tecnologico. Come funziona questo motore di ricerca?
«Il nome Facility sta per “facilitatore di accesso alle informazioni”. Quando si va su un motore di ricerca si fa fatica a trovare le informazioni precise. Facility è la piattaforma madre capace di generare senza codice un numero di piattaforme figlie, che hanno il compito di organizzare le informazioni. La tecnologia mette a disposizione strumenti che all’interno dello stesso motore di ricerca consentono di fare più operazioni, come prenotare un albergo, una escursione o scaricare informazioni».
Perché è diversa da Google e dall’intelligenza artificiale?
«Facility si basa su un modello deterministico, cioè va a cercare nei database l’informazione che corrisponde meglio a quello che si sta cercando. L’intelligenza artificiale e Google si basano su un modello probabilistico».
Non è che ci avete messo troppo a sviluppare il vostro progetto?
«Per le deep technologies servono tra i 7 e i 12 anni per il lancio sul mercato. Tempi fisiologici».
Perché la scalata è fallita?
«Il 30 dicembre del 2019 il governo ha introdotto una nuova norma restrittiva sui crediti per pagare le ritenute d’acconto dei dipendenti. A questo si è aggiunta una flessione nella raccolta di capitali durante la pandemia. Ai soci avevamo spiegato in assemblea che era arrivato il momento di fare il salto per entrare nel mercato, ma bisognava trovare investitori esteri. In questi stessi mesi riceviamo l’interesse di Lazard, la più grande banca di investimenti al mondo. Firmammo un contratto a luglio del 2020: l’obiettivo era raccogliere altri 50 milioni di euro. Ma i soldi non sono stati raccolti».
Nel 2021 non riuscite più a pagare gli stipendi.
«Una grave crisi di liquidità. Per provare a salvare l’azienda lanciammo un aumento di capitale da 4 milioni, ma anche questo non andò in porto».
Gli stipendi dei dipendenti erano molto alti, forse più del necessario.
«Difficile portare in una realtà come la nostra ragazzi validi e trattenerli, c’era la fila fuori per prenderli».
Nessun errore dunque?
«Nel 2013 abbiamo detto di no quando ci è stato proposto di trasferirci nella Silicon Valley. Ecco, forse una colpa è stata questa. Ma anche tornando indietro rifaremmo la scelta di restare a Pavia».
Una città che anche dopo l’esplosione della crisi non vi ha contestato, a parte un po’ di chiacchiericcio di sottofondo. Perché?
«Credo che ci siamo guadagnati il rispetto delle persone, perché ci abbiamo creduto davvero. Siamo andati dal sindaco a scusarci».
Si parla da mesi di una trattativa in corso con un investitore. Esiste davvero?
«Sì, alcuni dipendenti ci stanno dando una mano a portarla a termine. Siamo trattando con un investitore in Romania, che ha intenzione di costituire un fondo e ha chiesto per questo un piano industriale». Avete tempo fino al 20 settembre. Il conto alla rovescia è iniziato.
«Noi ci crediamo». -
