«O diamo consistenza alla nostra fede, e la rendiamo operativa, o diventa un idolo». La voce di don Enzo Boschetti arriva da lontano, catturata forse da un mangianastri e oggi riproposta nel podcast “Storia di un piccolo seme”in cui il sacerdote narra la storia della Casa del Giovane. E’ l’aggettivo “operativa” a colpire l’immaginario di chi ascolta. Nella mente prendono forma spazi di comunità, ragazzi salvati, giovani ai margini diventati adulti nei capannoni di via Lomonaco grazie al lavoro in falegnameria piuttosto che al centro stampa.
A 30 anni dalla scomparsa di don Enzo la città lo ricorda con una serie di iniziative. Questa sera, alle 21, un concerto nella chiesa di Santa Maria del Carmine, con il coro Verdi di Pavia e l’orchestra I Musici di Parma. E poi i podcast, una nuova biografia a cura di Enrico Impalà e una mostra (aperta su richiesta) nello scantinato di viale Libertà in cui sono ricostruiti gli ambienti che nel 1968 don Enzo attrezzò a dormitorio improvvisato.
Sono trascorsi tre decenni ma la figura di don Enzo è quanto mai attuale. «E’ stato un pioniere. Con i suoi si è occupato delle persone ai margini prima che se ne occupasse lo Stato» conferma Cesare Beretta, magistrato di lungo corso ora in pensione e già presidente della Piccola Opera San Giuseppe, una delle prime strutture organizzate a cui fece riferimento la vita della Casa del Giovane –. La prima legge in materia di droga è del 1975 ma lui già accoglieva i giovani con una dipendenza, li ascoltava, provava a responsabilizzarli con il suo metodo educativo. Faceva a modo suo, oggi non sarebbe più compatibile con norme e cavilli, ma all’epoca...».
L’incontro nel 1981
Il sacerdote e il magistrato hanno camminato fianco a fianco per una decina di anni, fino a quando don Enzo, già molto malato, se ne è andato, cedendo di fatto il testimone a un giovane don Franco Tassone e ai suoi collaboratori. Al loro fianco non è mancato il solido sostegno di Beretta. «Conobbi don Enzo nel 1981 quando mi chiese una “consulenza” in ambito legale – ricorda il magistrato – poi nacque anche un’amicizia e un grande rispetto».
«Alcuni mesi fa ho consultato l’archivio in Comunità per cercare materiale sui rapporti di don Enzo con le istituzioni – Racconta Beretta –. In diari, appunti, lettere si trova la sua dimensione: un sacerdote fuori dagli schemi ma sempre concreto, innovativo e generoso».
Il suo lavoro nel sociale, nel mondo delle fragilità, fu riconosciuto anche dall’Azienda sanitaria locale dell’epoca che inserì quel sacerdote dalla tonaca un po’ lisa nel suo consiglio direttivo. Quattro le caratteristiche fondamentali che Beretta riconosce come cifra distintiva di don Boschetti: «La tenacia nella ricerca della vocazione “giusta”, perseguita persino con una fuga da casa da ragazzo – dice – la preghiera, il metodo educativo e il senso di responsabilità che ha saputo instillare anche nei suoi giovani».
Dallo scantinato in viale Libertà a via Lomonaco
La Casa del Giovane è una comunità di vita e di servizio nata nel 1971 dall'intuizione profetica del Servo di Dio don Enzo Boschetti, morto all'età di 63 anni nel 1993. Nel corso degli anni la Casa del Giovane si è evoluta: dal primo gruppo di giovani accolti e di volontari, animati dall'umile e intensa passione evangelica di don Enzo per i poveri e i ragazzi allo sbando, si è giunti alla realtà attuale che vede la Fraternità di Vita - composta da sacerdoti, fratelli, sorelle e laici coniugati, unitamente a collaboratori volontari e professionisti, e anche alle persone accolte - a servizio delle varie realtà di accoglienza. —
