PAVIA. Era sotto gli occhi di tutti ma è morto da solo. Il funerale di Paolo Brambati, l’eremita della Vernavola trovato morto nella sua baracca, verrà pagato con l’aiuto della diocesi: «Il vescovo si è interessato, la curia gli pagherà il funerale», dice Franco Tassone di Caritas. «Noi della comunità ecclesiale siamo disponibili». In campo anche l’agenzia di pompe funebri, che ha preso a cuore la storia: «Verrà fatto un funerale come si deve», assicurano. Un modo per garantire dignità anche a chi ha deciso di tagliare i ponti col mondo .
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Una vita ai margini
Era morto da almeno quattro giorni quando è stato ritrovato: le condizioni del corpo lo lascerebbero supporre. Brambati si appoggiava alla mensa di Canepanova per i pasti, ma non si faceva vedere da oltre un mese e per questo il decesso potrebbe spostarsi più indietro nei giorni. Lo ha scoperto Ernico Mascotto, frate responsabile della mensa di via Ada Negri. Si è messo a cercarlo lì dove dimorava: nella baracca tra i sentieri della Vernavola alle spalle di via Rampoldi, dove l’homeless di lungo corso aveva attrezzato un giaciglio di fortuna. Si riparava dai contatti umani sotto una catasta di vecchie coperte, rifiuti e rottami che utilizzava per alleviare il freddo. «Ho deciso di fare una camminata in Vernavola per cercare Paolo – racconta Mascotto – arrivato alla sua baracca ho provato a chiamarlo dalla finestrella, nessuna risposta. Ho allungato il bastone e ho tastato qualcosa di duro, che non si muoveva».
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Poche le tracce che un invisibile si lascia alle spalle: ci sarebbe una richiesta di aiuto fatta alla Caritas nel 2008, prima ancora il tentativo – fallito – di inserimento in comunità tramite la casa del giovane. «Diceva di essere originario Mirabello» racconta Tassone, parlando del quartiere poco distante dal parco che aveva scelto come perimetro della sua esistenza. «Per un periodo ha lavorato da artigiano, forse carpentiere». Pochi i parenti noti, ma più di uno parla di una sorella: «Ogni tanto chiedeva un’offerta per andarla a trovare a Marzano, o almeno così diceva», spiega il frate di Canepanova. Non c’è certezza nemmeno sul nome: per tutti era Paolo, ma all’anagrafe di Marzano risulterebbe un Lorenzo Brambati cancellato dai registri per irreperibilità, e alcuni volontari hanno riferito che il suo vero nome fosse quello. «Li usava entrambi», aggiunge Tassone, che parla di un uomo deciso a sfuggire dai rapporti umani: «Si sentiva oppresso, schiacciato dalle relazioni. Il suo essere invisibile era un meccanismo di difesa». Più sicura, invece, la sua routine quotidiana.
«Noi moriamo da soli»
«Alle sette di mattina lo trovavamo già da noi per la colazione – conclude Mascotto – si era intestato il compito di aprire e chiudere il cancello di fianco alla mensa del convento, e di tenere pulito raccogliendo qualche cartaccia. Poi si spostava, a volte nella zona del Duomo». Se lo ricorda Giampietro Maggi, il parroco della cattedrale: «Si metteva sotto i portici del vescovado, era molto gentile, mostrava le sue necessità con discrezione. Aveva modi sempre cordiali, ma dopo il Covid l’ho notato più sciupato». La morte dell’uomo ha colpito anche la comunità dei senza dimora: «Quando ho letto di un cadavere nella baracca della Vernavola ho capito subito che si trattava di Paolo – dice un homeless in fila per il pranzo dai frati di Canepanova – la nostra vita è questa, quando ce ne andiamo moriamo da soli».
Una radio e le parole crociate nel rifugio senza luce
Decine di coperte dai lembi abbrustoliti, centinaia di mozziconi di candele. Scatole su scatole di zampironi, un ultimo pacchetto con due sigarette ancora intatte. Poi una catasta di lattine e bottiglie di birra: arriva fino al tetto della piccola baracca dove Brambati si è spento, alla Vernavola. Ha cercato di isolarla dal freddo con stuoie alle finestre, gli scuri bloccati dai lacci ancorati alla buona sulle pareti di legno. Vicino al giaciglio di fortuna dove dormiva, tante riviste di cruciverba: «Se volevi fargli un bel regalo dovevi comprargli un mensile di parole crociate», dice una volontaria delle unità di strada che assistono gli ultimi. Sparse in uno piccolo spazio, saturo di oggetti che lasciano ipotizzare una sindrome da accumulo, il senza dimora trovato morto domenica ne aveva decine: addirittura due copie dell’edizione di gennaio della sua rivista favorita. E tutte compilate, dal primo all’ultimo enigma. Conservate in una busta di plastica, un mazzo carte da gioco francesi: «Gli piaceva fare i solitari», dice un homeless in fila per il pranzo dai frati di Canepanova. In mezzo al groviglio di rifiuti usati per isolarsi dal freddo e dal mondo, una radiolina nera. Le batterie sono ormai scariche. —
