PAVIA. «Ero partito con l’idea di fare un thriller, alla fine è diventato un viaggio psicologico, senza sangue. Ma un morto c’è e mette in moto tutta la storia». Silvio Soldini ci racconta così “3/19”, l’ultimo film da lui diretto – e che ha anche scritto, insieme a Doriana Leondeff e Davide Lantieri – che mercoledì 17 novembre (alle 21) presenterà al pubblico del Cinema Politeama di Pavia insieme ad uno degli interpreti da lui guidati sul set, Francesco Colella. I due ospiti, prima della proiezione, dialogheranno con Valerio Picca della redazione di Birdmen Magazine.
La pellicola ha come grande protagonista Kasia Smutniak – forse qui nella sua interpretazione migliore di sempre – nei panni di Camilla, un’implacabile avvocatessa di successo di Milano dal cuore congelato che attraverso il lavoro si protegge da un dolore del passato, profondo, ma sempre vivo. Una notte un ragazzo in motorino la investe: lei resta praticamente illesa, lui muore. E la sua morte, la terza nell’anno 2019 a non avere un nome e cognome, dà il titolo a questa storia “3/19”. Con l’aiuto del direttore dell’obitorio, Bruno (Francesco Colella), Camilla andrà alla ricerca dell’identità della vittima, arrivando a frequentare luoghi e persone lontane dal suo mondo. La strada misteriosa e incerta intrapresa la porterà ad un cambiamento e ad una vera rinascita.
Soldini, chi è la sua Camilla?
«È un personaggio nato da una conoscenza: qualche anno fa incontrai una persona che è diventata un’amica e che fa l’avvocatessa d’affari. Mi ha raccontato che cosa vuole dire fare questo mestiere, che ha dei tempi e dei ritmi frenetici. Nel film Camilla è una donna che abita quell’universo professionale, simbolo del mondo occidentale. Lavora ai piani alti di Milano, domina la città, maneggia contratti in cui ballano milioni di euro. Vive in questo mondo dorato, separato dalla realtà, e parla una lingua che noi comuni mortali non possiamo capire».
L’incidente la cambierà per sempre.
«Mi piaceva la separazione abissale tra Camilla e quel ragazzo che, in una piovosa notte di Milano, in fuga non si sa da che cosa, per sopravvivere incrocia fatalmente il suo destino. È da qui che la donna inizia il suo cambiamento interiore: solo tirando fuori qualcosa che aveva seppellito dentro di sé da tanto tempo riuscirà a ritrovare il calore perduto».
Questa separazione è simbolicamente descritta dai due volti di Milano che ha inquadrato.
«Nel film vediamo due anime di Milano: quella del denaro e della finanza, e quella dell’accoglienza, delle mense, dei dormitori. Camilla, che appartiene al primo mondo, dovrà scendere nel secondo per trovare il nome di questo ragazzo. Alla fine ritroverà sé stessa».
Avete girato durante la zona rossa. Cosa le resterà più impresso delle riprese?
«Era una Milano vuota. Se una volta dovevamo chiedere al traffico intenso di fermarsi, in questa occasione dovevamo aspettare noi che passasse una macchina per non avere la strada completamente deserta. Vivevamo un momento difficile, ma quando si fa un film, purtroppo si ha molto poco tempo per accorgersi di cosa ti sta accadendo attorno. Eravamo nel nostro tunnel, siamo andati avanti. E adesso siamo qui, perché il cinema non si può fermare».
Giacomo Aricò
