Voghera, il racconto di una 26enne vogherese bloccata da un uomo in un portone a due passi dal centro: «Ho avuto la forza di fare il 112 sul cellulare, si è spaventato e mi ha lasciata»
VOGHERA. «Ho gridato, ho chiesto aiuto, la mia voce rimbombava su per le scale, ma non si è aperta neppure una porta. Nessuno è venuto ad aiutarmi. Solo per un caso non mi è andata peggio».
Alice, che è un nome di fantasia, ha ventisei anni ed è una giovane donna impegnata anche nel sociale. L’altra sera stava andando a trovare il suo fidanzato che abita in via Papa Giovanni XXIII. E’ una strada non trafficatissima, ma certamente non deserta alle sei di sera, per quanto abbastanza buia.
Quando Alice raggiunge il portone in cui deve entrare, viene affiancata da un uomo che è appoggiato al muro, a un metro di distanza. E’ di colore, alto sul metro e ottanta, con la mascherina, abiti neri, uno zainetto sulle spalle. «Non mi sono insospettita, non ho pregiudizi razziali, anzi, tutt’altro. Quando ha iniziato a parlarmi mi sono fermata per capire cosa volesse».
L’aggressione sessuale
Ma è una questione di un attimo, l’uomo inizia subito a fare allusioni sessuali. La ragazza spinge immediatamente il portone e fa per entrare. L’uomo si mette di mezzo, spiega che deve urinare e chiede di entrare. Alice inizia a spaventarsi, prova a chiudersi il portone alle spalle, ma l’aggressore, perché ormai è chiaro è tale, si mette tra la porta e il battente, spinge la ragazza all’interno ed entra pure lui chiudendosi il portone alle spalle.
Alice si tira indietro, mentre le allusioni sessuali continuano. «A un certo punto, mentre cercavo di spostarmi verso le scale, ha iniziato a spogliarsi...». A questo punto, Alice grida, chiede aiuto, convinta che qualche porta si aprirà, che l’uomo spaventato si allontanerà. Niente. «Non è comparso nessuno, nessuno che si sia chiesto perché delle mie urla», dice, amareggiata.
In quel momento, quando l’aggressione sessuale sta diventando più evidente, la ragazza ha la prontezza d’animo di fare un gesto banalissimo. Estrae il cellulare dalla tasca, digita velocemente il 112 e dice all’uomo: «Ho chiamato i carabinieri». E’ sufficiente questa “minaccia”, per far cambiare il clima. L’aggressore la smette di chiedere «baciami», la smette di spingere Alice contro il muro. Anzi, si ritira su i pantaloni, apre il portone e si allontana. Alice risponde al 112 che sta attendendo: spiega all’operatore cosa è successo e i carabinieri, dopo aver raccolto da lei una sommaria descrizione dell’uomo, mandano una pattuglia a cercarlo.
Un secondo caso
«Pensavo che mi richiamassero e che la mia telefonata fosse sufficiente– dice Alice un po’ sorpresa – ma forse dovrò andare direttamente io a fare la denuncia. Devo dire che il giorno dopo, passando vicino alla stazione, mi è sembrato di riconoscerlo, ma non posso esserne sicura».
Sarà il caso di indagare, anche perché lo stesso uomo, qualche giorno prima, aveva molestato una donna all’interno del bar Bistrosss di corso XXVII Marzo: «Era entrato e aveva chiesto di usare il bagno, però non si vedeva più – racconta una delle titolari – poi l’abbiamo fatto uscire. Ma c’era tanta gente nel locale, gli abbiamo persino chiesto se avesse bisogno di aiuto...». L’uomo non se n’è andato. E’ tornato nel bagno. Attende la prima donna che ne deve fare uso e inizia a molestarla. E viene scacciato dal locale. Secondo alcune voci, una simile scena si sarebbe verificata in un altro bar.
