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Quando il lavoro manca o è iniquo o indegno, la democrazia è più debole

Desidero, innanzitutto, porgere il mio saluto e il mio ringraziamento al Presidente della Repubblica. Nel rileggere i suoi messaggi, in particolare in occasione del Primo Maggio, ho ritrovato il costante richiamo al lavoro come elemento fondante della nostra Repubblica.

Ed è proprio nei momenti difficili, come quello che attraversiamo, che dobbiamo ricercare nella Costituzione e nella sua forza i punti di riferimento dai quali ripartire e sui quali ricostruire. E di lavoro, richiamato in ben 23 commi, è punteggiata la nostra Carta, che parla di: «dignità», «sicurezza», «libertà», «diritto al lavoro», «formazione professionale», «retribuzione proporzionata e sufficiente», «diritto al riposo ed alle ferie», «diritto alla durata massima della giornata lavorativa», «stabilità del lavoro», «inclusione sociale», «parità di diritti e  retribuzione tra uomini e donne a parità di lavoro», «tutela del disabile», «protezione contro la disoccupazione involontaria, infortunio, malattia,  invalidità e vecchiaia», «libertà sindacale e di contrattazione collettiva», «diritto di sciopero» ed altri ancora. Tutto questo non contrapposto ma integrato alla «libertà dell’iniziativa economica privata».

E in questa trama di rapporti e relazioni sociali ed economiche agisce la Repubblica che con l’articolo 3 si da il compito di rimuovere gli ostacoli e gli impedimenti che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini.

È un compito che dobbiamo avere segnato nelle nostre menti e nei nostri cuori mentre rischiamo di aumentare le distanze e mentre la povertà assale milioni di famiglie colpite dalla crisi.

Ancora oggi la nostra Costituzione ci indica la strada: proteggere i nostri cittadini, assicurare cure e vaccini ma allo stesso tempo preparare la ricostruzione facendo leva sulle lavoratrici e sui lavoratori del nostro paese.

Perché quando il lavoro manca o è iniquo o indegno, la democrazia è più debole ed esposta; preda della sfiducia e della rabbia sociale; e la rabbia sociale può produrre mostri. Nella conclusione della sua lezione “fascismo eterno”, Umberto Eco ricordò una significativa frase di Roosevelt del 1938: “Oso dire che se la democrazia americana cessasse di progredire come una forza viva, cercando giorno e notte con mezzi pacifici, di migliorare le condizioni dei nostri cittadini, la forza del fascismo crescerà nel nostro paese”. Queste parole trovano eco in quelle di chi oggi guida un paese amico come gli Stati Uniti. Perché esse indicano esattamente il cuore di ogni patto democratico. E lo strumento fondamentale per inverarlo è il lavoro.

Lo capirono le nostre e i nostri Costituenti. Amintore Fanfani, per spiegare le ragioni del primo Articolo, che alla fine sarà votato a larghissima maggioranza, disse in Assemblea: “'L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. In questa formulazione l'espressione 'democratica' vuole indicare i caratteri tradizionali, i fondamenti di libertà e di eguaglianza senza dei quali non vi è democrazia. Ma in questa stessa espressione la dizione fondata sul lavoro vuol indicare il nuovo carattere che lo Stato italiano, quale noi l'abbiamo immaginato, dovrebbe assumere. Dicendo che la Repubblica è fondata sul lavoro si esclude che essa possa fondarsi sul privilegio, sulla nobiltà ereditaria, sulla fatica altrui e si afferma invece che essa si fonda sul dovere, che è anche diritto ad un tempo per ogni uomo, di trovare nel suo sforzo libero la sua capacità di essere e di contribuire al bene della comunità nazionale. Quindi, niente pura esaltazione della fatica [...]. L'espressione fondata sul lavoro segna quindi l'impegno, il tema di tutta la nostra Costituzione.”

Con quello stesso spirito, in questo Primo Maggio, in questa festa antica quasi come l’Unità d’Italia, dobbiamo ricordare chi ha lottato per difendere il proprio lavoro e chi è stato al fronte nei mesi più duri della crisi, a partire dalle operatrici e dagli operatori sanitari.

Ora il nostro massimo sforzo deve essere concentrato verso chi il lavoro l'ha perso o rischia di perderlo, verso chi ha dovuto interrompere la propria attività a causa della crisi sanitaria ma anche verso chi è sottoposto a condizioni di sfruttamento, caporalato e mancanza di tutele adeguate.

C'è ancora un numero inaccettabile di vittime sul lavoro. Di qui il nostro impegno affinché si adotti un Piano d'azione nazionale per rafforzare la lotta al lavoro sommerso e irregolare. Impegno che è stato assunto nelle riforme del Piano nazionale di ricostruzione e resilienza. Così come ci siamo impegnati a garantire le vaccinazioni sui luoghi di lavoro: con il Protocollo del 6 aprile abbiamo ottenuto un risultato importante, che potrà mettere in sicurezza milioni di lavoratrici e lavoratori.

Questo sforzo va compiuto nella temperie pandemica e post-pandemica, per le conseguenze socio-economiche che ha determinato e determina. Innanzitutto a questo debbono rispondere le riforme e le risorse che abbiamo disegnato nel Recovery plan inviato a Bruxelles. Un piano che non vuole e non deve servire semplicemente a tamponare una falla, lasciando il sistema immutato. Deve essere al contrario l’avvio di un progetto per una nuova Italia in una nuova Europa, che affronti quei cambiamenti più volte colpevolmente rinviati.

D’altra parte la transizione ecologica e quella digitale richiedono entrambe una trasformazione delle politiche pubbliche, per evitare che il loro effetto si scarichi sulle fasce sociali più deboli.

Affinché queste diventino un’opportunità dobbiamo agire, per nostro conto, su due fronti, sui quali si sta concentrando l’azione di questi primi mesi: la riforma degli ammortizzatori sociali da un lato e il potenziamento degli strumenti di formazione e delle politiche attive del lavoro dall’altro. Su questi fronti il confronto con le parti sociali è stato aperto, procede e deve essere l’occasione per superare ritardi e particolarismi.

L’andamento della perdita di posti di lavoro in questi mesi ha indicato che, pur con forti eterogeneità, ci sono squilibri tra nord e sud del paese e che ad essere maggiormente penalizzati sono i giovani e le donne. L’Italia deve rispondere a questo passaggio come è avvenuto a metà degli anni ’70 con una legislazione mirata, compiendo ogni sforzo per evitare di perdere una generazione.

Considero per questo di grande importanza la scelta compiuta dal nostro Paese di condizionalità per la realizzazione dei progetti contenuti nel PNRR l’assunzione di donne e giovani.

Anche per questo è urgente potenziare le infrastrutture sociali. A partire da un Piano straordinario di rafforzamento dei centri per l’impiego. Ma non basta: dobbiamo essere più ambiziosi, ad esempio fissando “standard di prossimità” e migliorando l’integrazione con la rete dei servizi territoriali.

È fondamentale, insomma, acquisire una visione integrata che faciliti le transizioni occupazionali, migliorando l’occupabilità. Per questo stiamo lavorando ad un programma denominato Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori, così come al Patto per il Lavoro e ad una strategia nazionale per l’occupazione giovanile.

Occorre avere chiaro che la digitalizzazione dei processi impone anche di ripensare la regolazione dei rapporti di lavoro. La tendenza spiccata alla flessibilizzazione si è tradotta per lo più in uno stato di precarizzazione e di allentamento delle tutele. Il lavoro intermediato da piattaforme e algoritmi, per citare uno dei fronti che ci vede più attivi, ha visto più che raddoppiata la platea di persone interessate nell’ultimo anno. Non possiamo lasciare che questo fenomeno sia affrontato solo dal mercato. C’è bisogno di un intervento regolatorio che aiuti la negoziazione tra le parti sociali a difendere il lavoro.

Ovviamente la natura delle sfide che ci troviamo di fronte è di portata globale. Per questo c’è bisogno dell’Europa, purché sia vissuta come una casa comune che tenga insieme una comunità sempre più solidale.

Anche le fonti normative dell’Unione e le Costituzioni degli altri singoli paesi attribuiscono un valore centrale alla protezione delle lavoratrici e dei lavoratori. Anche da qui, dalle nostre radici, è venuta la spinta a ripensare la natura della nostra comunità con Next Generation EU. Ora la sfida è il buon utilizzo delle risorse perché abbia successo questa nuova Europa, che ha dato una risposta profondamente diversa da quella data alle crisi precedenti. Solo così saremo più forti nel chiedere in futuro che la scelta mutualistica e solidaristica compiuta, diventi strutturale e costituisca finalmente il pilastro sociale europeo da molto tempo invocato.

Esattamente con questo obiettivo stiamo lavorando insieme al Commissario Europeo Nicolas Schmit al Social Summit che si terrà a Porto il prossimo 7 Maggio.

Insomma, ci troviamo in una fase storica che ha molte incognite e insidie ma che è anche ricca di inedite opportunità. La necessità di ricostruzione nell’interesse generale degli italiani, per consentire al Paese di ripartire, impone una larga convergenza di forze, la capacità di mediazione e di riconoscimento reciproco.

Proprio queste furono le basi che portarono le grandi tradizioni culturali e politiche dell’Italia liberata, a dare vita ad una Carta capace di esprimere ancora oggi tutta la sua forza ideale. Il crocevia in cui si incontrarono queste culture fu proprio il lavoro. E solo dal lavoro, dalla sua centralità, dalla capacità di mettere al servizio delle persone le innovazioni tecnologiche, può crescere una rigenerazione democratica in grado di esorcizzare gli spettri del passato e vincere le sfide del presente.

Concretamente questa battaglia potrà essere vinta se le forze del lavoro e dell’impresa saranno parte attiva di una nuova stagione. Se le lavoratrici e i lavoratori saranno messi in condizione di partecipare alle grandi scelte che definiranno il loro destino.

Se democrazia e lavoro, come ci indica la nostra Carta, sono legati da un nesso inscindibile, è la democrazia economica il tratto ideale che li congiunge.

Buon primo maggio a tutti.

*Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali

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