Sarzana C’è un’impronta sull’auto di Camilla, cioè Carlo Bertolotti, la trans di 43 anni uccisa la notte tra il 5 e il 6 giugno a Marinella di Sarzana con due colpi di pistola alla testa, che combacia con le scarpe che l’unico indagato per il suo omicidio, Daniele Bedini, artigiano 32enne di Carrara, indossava quella notte: delle Sun68 taglia 43. E ci sono anche delle registrazioni delle telecamere di videosorveglianza posizionate davanti casa sua che lo riprendono rientrare nemmeno un’ora dopo l’omicidio. Indizi che, aggiunti ai documenti della trans trovati in camera sua, hanno spinto il pubblico ministero Rossella Soffio a chiedere la misura cautelare del carcere anche per questo delitto.
Secondo gli inquirenti, Bedini, la notte prima, avrebbe ucciso anche Nevila Pjetri, la prostituta di 35 anni trovata morta sul greto del torrente Parmignola grazie alla segnalazione di due testimoni. Per questo omicidio il giudice ha già disposto, di sua iniziativa, la misura cautelare del carcere, anche se il giovane, in cella, ci sarebbe rimasto comunque per una condanna definitiva per rapina che ancora doveva scontare.
Gli indizi che lo inchiodano al primo omicidio «sono tanti, troppi», ha scritto il giudice nella su ordinanza: 1) il suo pick-up bianco, riconoscibile da un fanalino posteriore rotto, ripreso dalle telecamere nel luogo in cui Nevila è stata uccisa, vicino a uno stabilimento balneare di Marinella di Sarzana; 2) tra le 4 e le 5 di notte, la notte del primo omicidio Bedini si sarebbe presentato a casa di un amico agitato, bagnato e sporco di sangue, per chiedere una maglietta di ricambio; 3) sempre le telecamere lo hanno ripreso, alle 6 del mattino, rientrare a casa mezzo nudo, ed entrare e uscire passando dal terrazza; 4) sul luogo del delitto è stato trovato un mozzicone di sigaretta che corrisponde alla marca che fuma; 5) la pistola usata per uccidere la donna corrisponde a quella sparita da casa sua e di cui il padre ha denunciato il furto.
Adesso gli indizi raccolti dagli investigatori sembrano inchiodarlo anche al secondo. Ci sono i documenti trovati in casa, c’è sempre il modello di pistola che coincide con quello usato per uccidere la trans, ci sono anche le telecamere di videosorveglianza che lo hanno ripreso, prima vicino al luogo dove Camilla si prostituiva, poi a casa, poco dopo il presunto orario dell’omicidio. E infine l’impronta della scarpa sull’auto di Camilla. Era sulla portiera del conducente, dove Camilla, stando alla ricostruzione dei carabinieri, sarebbe stata uccisa. Da lì sarebbe stata trascinata fuori, caricata sul pick-up e poi gettata tra i rovi, non molto lontano, in località “Due laghi”. L’ipotesi è che l’omicida abbia chiuso la porta con il piede perché con le braccia reggeva il corpo, forse già senza vita, di Camilla.
Subito dopo il fermo, i carabinieri hanno ritirato tutte le armi che il padre dell’indagato teneva in casa. Diversi fucili, tutti regolarmente denunciati e chiusi in una cassaforte che però, stando alla ricostruzione della procura, Bedini sarebbe riuscito ad aprire. I carabinieri di Carrara non hanno mai ritrovato la pistola con cui, nel 2019, Bedini rapinò una sala slot. Il sospetto che l’avesse presa da quella cassaforte, che peraltro, da quello che emergenze dall’ordinanza del gip, era stata già saldata in un lato, è forte.
Intanto, emerge anche un altro dettaglio, e cioè che i genitori di Bedini, pochi giorni prima dei due omicidi, avevano chiesto un Tso (trattamento sanitario obbligatorio) per il figlio. Richiesta respinta dagli operatori sanitari.
