Così il tecnico ha trasformato in squadra un gruppo senza grandi pretese. Le rivelazioni Kalulu e Maignan, il nuovo ruolo di Tonali da protagonista
Grazie. Grazie Stefano Pioli. I tifosi del Milan tornano a godere dopo 11 anni. L’ultimo scudetto era quello targato Max Allegri. Gioia ormai lontanissima seguita da troppi anni di buio totale. Ma il Grazie a Pioli non è solo una “questione” rossonera. Sì, è vero, chi vince festeggia e chi perde si dispera. Il mondo dello sport, però, ha confini che vanno oltre il successo e la delusione. Racconta storie, produce morali, trasmette insegnamenti. E il trionfo del Milan è il manifesto della speranza. La vittoria dell’umiltà. Il gran galà della pazienza. Una favola che parla di valori in un calcio sempre più dominato dalla lingua del business e dei milioni. Grazie Stefano. Perché hai dimostrato a tutti che gonfiare i muscoli non è garanzia di successo. Goditi il tuo primo titolo da allenatore. Te lo meriti.
MA DOVE VOGLIONO ANDARE?
Il 9 ottobre 2019 il Milan è reduce dalla peggior partenza in campionato degli ultimi 81 anni: quattro sconfitte nelle prime sei partite con Marco Giampaolo in panchina. Spalletti dice “No, grazie”, Allegri è inarrivabile. Il club rossonero vuole cambiare guida tecnica, ma nessuno ha intenzione di sporcarsi le mani col Diavolo. Arriva Pioli. Lo scetticismo di sportivi e addetti ai lavori è totale. «Ma dove vogliono andare con Pioli?», diventa presto un tormentone. Stefano si presenta e predica umiltà e lavoro. Fa cinque punti nelle prime sei gare, poi vince con Parma e Bologna, pareggia col Sassuolo e crolla 5-0 a Bergamo con l’Atalanta. Il baratro. «Ecco, guarda che bel lavoro ha fatto Pioli». Altro tormentone. Stefano passa dentro alla bufera. Dichiarazioni pacate, mai una parola fuori dalle righe. Incassa le critiche e le ironie maligne. Il Milan non può comprargli i campioni, ma riesce a riportare a San Siro un “vecchio” – ma sempre decisivo – Ibrahimovic. Pioli non molla, lavora nella mente dei suoi ragazzi. Crea un’identità di gioco. Dona carattere a un gruppo che viveva nella perenne convinzione di non essere all’altezza. Arriva il sesto posto finale e la qualificazione in Europa League. Nel post lockdown i bimbi di Pioli collezionano dodici risultati utili consecutivi. Eppure Stefano viene messo in discussione. A luglio il Milan vince a Sassuolo e Pioli sembra pronto a partire. Al suo posto la società vuole il visionario Ralf Rangnick, allenatore/dirigente tedesco. Ma Paolo Maldini si presenta nello spogliatoio rossonero, proprio al termine del match di Reggio Emilia, e scopre le carte di fronte alla squadra: «Il mister resta con noi». Altra bufera superata per Stefano.
SEMPRE PIÙ IN ALTO
La scorsa stagione è quella dello scudetto sfiorato. Il Milan rimane in scia dell’Inter, poi – nella parte finale dell’annata – i nerazzurri di Conte prendono il largo. Sono più forti. Non c’è storia. Ma Stefano alza l’asticella. Perché ormai la squadra impaurita e impacciata delle 5 pere raccolte a Bergamo è un lontano ricordo. I rossoneri chiudono al secondo posto e tornano in Champions League dopo 2.630 giorni dall’ultima apparizione. Ibra fa il leader e insegna ai compagni che Stefano va seguito. Ascoltato. E funziona.
EH, MA SENZA GIOCATORI...
Berlusconi ha fatto tanto bene al Milan. Ma quando lo ha lasciato nelle mani dei cinesi non ha compiuto esattamente un gesto d’amore. Almeno stando al fallimento totale della gestione orientale. Nel 2018 il club diventa proprietà del fondo Elliott. Soldi non ce ne sono. E nel giugno del 2019 – tre mesi prima dell’arrivo di Pioli al Milan – Paolo Maldini diventa direttore tecnico della squadra a cui ha dedicato la vita, ma non ha possibilità di spendere. Theo Hernandez – riserva del Real Madrid –, Bennacer – centrocampista reduce dalla retrocessione con l’Empoli –, Kalulu – promessa sconosciuta del Lione pagato appena 480mila euro – sono solo alcuni degli acquisti “tiepidi” del Milan targato Elliott, che nell’estate 2021 saluta anche Donnarumma e Calhanoglu senza incassare un euro. In porta arriva il gigante Maignan. Il resto è storia recentissima. Big Mike è il portiere più forte della Serie A. Stefano non si lamenta, conosce la situazione. E nel gennaio scorso, quando tutti si aspettavano un colpo in attacco da parte di Maldini – considerato che i rossoneri erano in piena corsa per lo scudetto –, Paolino lo disse chiaramente: «Non possiamo fare grandi cose, vediamo se troviamo un’occasione». In attacco arriva il giovanissimo Lazetic, ma fa soltanto numero. Almeno per ora. Nel frattempo Kjaer – arrivato a gennaio 2020 da giocatore “bollito” e divenuto presto leader della difesa milanista – si rompe il crociato. Centrale difensivo titolare viene schierato Kalulu. Sì, lo sconosciuto del Lione pagato meno di 500mila euro. Si fa male anche Tomori – un mese fuori –, e quindi al fianco di Kalulu gioca Gabbia, 22enne prodotto del settore giovanile rossonero, che nel 2019 era in prestito alla Lucchese, in Serie C.
ISTRUZIONI PER UNA FAVOLA
Pioli dà fiducia ai ragazzini e i risultati lo premiano. Il testa a testa con l’Inter va avanti. E il 27 aprile i nerazzurri falliscono l’occasione del sorpasso in classifica perdendo 2-1 a Bologna. Il Milan vince a Roma con la Lazio all’ultimo minuto, poi supera Fiorentina, Hellas Verona, Atalanta e Sassuolo. Soffrendo, lottando, aggrappandosi allo strapotere di Tonali: un altro che in molti avevano già catalogato come bidone. Dando vita a un sogno. Scrivendo una favola. Un papiro antico che svolazza nel deserto di un calcio sempre meno romantico. Bravi tutti. Ma complimenti all’autore. Grazie, Stefano.
