ORBETELLO. «Ventisei anni per una causa sono troppi. Questa non è giustizia. Mattarella intervenga per una riforma della giustizia».
Elena Improta, presidente della onlus "Oltre lo sguardo", che a Orbetello realizza progetti per ragazzi disabili, sta per compiere 59 anni, 26 dei quali li ha spesi in una causa civile per dimostrare che la disabilità grave da cui è affetto il figlio fu causata da una sofferenza al momento del parto. Una causa di risarcimento danni iniziata nell’aprile del 1996 e terminata pochi giorni fa con una sentenza della Corte d’appello di Roma che non riconosce a Improta e al figlio 32enne i danni ma, anzi, li condanna al pagamento delle spese processuali: 276mila euro.
La sentenza afferma l’insussistenza del nesso causale, respinge la domanda di risarcimento e condanna madre e figlio al pagamento delle spese del giudizio di rinvio – dice Improta – «per un importo di 276mila euro che è talmente spropositato da apparire punitivo e dissuasivo». Improta da due anni vive stabilmente a Orbetello E dal 2017 ha iniziato il suo progetto per i ragazzi disabili.
«È svilente – commenta – che per dirmi che non ho diritto a un risarcimento danni siano serviti più di due decenni in cui io e mio figlio siamo stati sottoposti a ogni genere di visita, interrogatorio. Una vita sconvolta da questo procedimento che adesso si è concluso così. Ho deciso di scrivere al presidente della Repubblica perché è necessario che le cause, soprattutto quelle che riguardano la malasanità, si concludano in tempi brevi. Credo che dieci anni siano più che sufficienti. Oggi – scrive Improta, nella lettera inviata al capo dello Stato – per la prima volta, in questi 26 anni di silenziosa e fiduciosa sofferenza, sono costretta a dare voce al mio sgomento e alla mia incredulità davanti all’esito incomprensibile della causa in sede di rinvio. Nel 2017, dopo un primo grado e un appello che avevano respinto la domanda di risarcimento per difetto di prova del nesso causale, una sentenza del 2017 della Corte di Cassazione riconosceva che doveva ritenersi provata l’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta omissiva dei medici e la patologia subita dal paziente e rinviava la causa in appello. La sentenza di rinvio – aggiunge Improta – scaturita da un iter quanto meno tortuoso e incoerente, afferma invece l’insussistenza del nesso causale, respinge la domanda di risarcimento e ci condanna al pagamento di 276mila euro. Non posso credere che questa sia giustizia e mi appello a voi (oltre a Sergio Mattarella Improta ha scritto al presidente Mario Draghi e alla ministra della giustizia Marta Cartabia, ndr) per chiedervi un aiuto per tutelare i diritti di mio figlio che troppo spesso devono essere urlati o pretesi invece di essere spontaneamente riconosciuti».
Improta ha già iniziato a pagare ma l’intera cifra non la possiede. «Mio figlio dovrà subire anche l’umiliazione del pignoramento? Questa è la giustizia e la tutela dei suoi diritti già lesi dalla nascita. La giustizia deve essere riformata e le decisioni devono essere prese in tempi ragionevoli». La lettera è l’appello di una madre che vuol anche essere utile ad altri genitori che passano lo stesso calvario.
«Ho speso la mia esistenza a tutelare i diritti di mio figlio – dice – ora sono molto provata e stanca. Sono traumatizzata da questo evento che mi toglie energia per prendermi ancora cura del mio ragazzo. Sono spaventata e morta dentro. Procederò facendo nuovamente ricorso in Cassazione sperando di averne la forza fisica e mentale. Continuerò a fare sacrifici e privazioni ma resta l’umiliazione di una madre e di un figlio, restano pochi anni davanti a noi e spenderli con questa prospettiva mi annienta. La magistratura non può permettere tutto questo dopo 26 anni. Come ridurre i tempi della giustizia civile? Come velocizzare questi procedimenti?».
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