Livorno, Chiara Casciana ascoltata come testimone in aula: «Non abitava con lei, ma negli ultimi tempi non sapeva più dove dormire»
LIVORNO. «Al telefono, per l’ultima volta, l’ho sentita due giorni prima che venisse trovata morta. E mi ha detto: “Mio marito alla fine mi ha aiutato a portare su le borse. È più giovane di me eppure fa fatica a portare su la spesa. Ora è di là in sala che beve le birre. Io non ce lo voglio più in casa. Glielo devo dire».
Chiara Casciana era l’amica del cuore di Ginetta Giolli, la donna di 62 anni uccisa a martellate nel luglio scorso nel suo alloggio popolare di via Garibaldi 425, alla Guglia. Ha parlato ieri, davanti alla corte d’assise del tribunale presieduta dal presidente Luciano Costantini, come testimone nel processo in cui è imputato per omicidio volontario il coniuge Youssef El Haitami, il macellaio marocchino cinquantaseienne che – secondo l’accusa, il pm è Pietro Peruzzi – l’avrebbe ammazzata fra le mura domestiche prima di allontanarsi come se niente fosse. Casciana viene ritenuta una testimone fondamentale, dal momento che è stata lei a vedere
Ginetta per l’ultima volta – insieme, quella sera stessa in cui si sono sentite al cellulare, erano andate a fare shopping a Tirrenia – e a parlarle al telefono un quarto d’ora dopo averla lasciata sotto casa con la macchina. Poi il nulla. Chiamate su chiamate. Nessuna risposta per tutta la giornata del 2 luglio (era venerdì) e nemmeno sabato mattina. Fino a che l’amica, dopo aver contattato un vicino di casa di Ginetta che le ha inviato una foto del sacchetto della Caritas lasciato il giorno prima sulla maniglia della porta, non ha dato l’allarme al 112. Con i soccorritori della Svs e i vigili del fuoco che hanno trovato il corpo senza vita della sessantaduenne livornese steso sul letto e con il cranio fracassato da un martello, ritrovato nascosto dietro a un mobile. Casciana, proprio in quei momenti, al Tirreno aveva raccontato l’ultima telefonata con la sessantaduenne: «L’ho sentita spaventata e mi ha detto che sarebbe andata a dormire. Suo marito, che in quel momento si trovava in casa con lei, da quanto mi aveva raccontato aveva bevuto della birra ed era rimasto a dormire sul divano. Qualche giorno prima avevano litigato, lei si era lamentata perché lui non l’aveva aiutata a portare degli oggetti per le scale».
El Haitami – che il giorno dopo il delitto di cui è accusato ha prima incontrato una giornalista del Tirreno e si è poi recato in questura prima di essere arrestato e portato in carcere – è difeso dall’avvocata Barbara Luceri e ha sempre negato di aver ucciso la moglie. «Lui non abitava con lei – ha proseguito Casciana – ma negli ultimi due mesi aveva litigato col cognato o la cognata e non sapeva più dove dormire. Le dava 20-50 euro per restare, ma a volte non la pagava. Anzi: capitava pure che Ginetta gli prestasse dei soldi. Se l’ha mai picchiata? No, lei mi ha detto di no. Fra loro non c’è mai stato alcun rapporto intimo, il matrimonio era di comodo e El Haitami le aveva dei soldi. Ginetta però diceva che il suo appartamento non era un albergo e che lui se ne doveva andare, perché era una donna libera. “Io non ce lo voglio più in casa. Glielo devo dire”, sono le ultime parole che mi ha detto». Poi il silenzio. E il corpo di Ginetta ritrovato sfigurato e senza vita nella casa popolare.