A 46 anni torna in campo in Eccellenza dopo la maxi squalifica. Su Vlahovic: «Non ha rispettato il popolo viola»
FIRENZE. L’immagine è quella del leone capobranco. Tante battaglie alle spalle, ferite – anche profonde – riemarginate e nascoste sotto il pelo bianco. Un po acciaccato, sì, ma ancora capace di ruggire. Con una voglia matta di dimostrare a tutti che il Re della savana sa rialzarsi dopo le cadute. «Sto bene nel corpo e nella mente. Non dimentico il mio periodo nero. Anzi, me lo tengo stretto. Ci penso spesso. Perché mi dà la forza di andare avanti. Di credere che tutto è possibile». Anche il ritorno in campo a 46 anni. Con la palla tra i piedi. «Posso dare ancora il mio contributo. Obiettivi? Certo che ne ho, sono la benzina di chi fa sport. L’ambizione crea stimoli. E gli stimoli servono. Sempre. E poi ho Benedetta e Tommaso (che gioca nelle giovanili Fiorentina, nda). I miei figli. La mia vita. Con loro accanto non ho paura di niente». Più di 4mila giorni fa l’ultima partita da professionista. «La ricordo bene, ero al Brescia, stagione 2009-2010». Poi la positività alla cocaina e la maxi squalifica. «Ho sbagliato e ho pagato. Punizione troppo severa? Non spetta a me dirlo». Sorridente, carico, determinato. Senza peli sulla lingua. Anche quando bacchetta Vlahovic e silura la convocazione di Balotelli in nazionale. Francesco Flachi il 13 febbraio torna in campo. Riparte dal Signa 1914. Campionato di Eccellenza.
Ma è vero che l’idea di rimettersi gli scarpini è nata durante un torneo estivo di calcetto?
«Si. Il presidente del Signa, Andrea Ballerini, è un amico da 30 anni. Mi ha detto che non ero più buono a giocare, che ero vecchio e fuori forma. Lui scherzava, ma io l’ho preso sul serio. E ad agosto mi sono presentato al ritiro della prima squadra. E ora peggio per lui (ride, nda).
Lo spogliatoio, il rumore del pallone sull’erba. Quanto le è mancato tutto questo?
«Da morire. A me di giocare una partita in più o in meno importa poco. Quello che volevo riassaporare è l’atmosfera del gruppo, gli scherzi coi compagni. Sono felice».
Certo che 12 anni senza pallone sono tanti.
«Il calcio non l’ho mai lasciato. Ho allenato i ragazzini, ho frequentato i centri sportivi. La squalifica non mi ha permesso di entrare negli stadi né di prendere il patentino da allenatore, ma l’amore per il pallone non si squalifica. Quello non morirà mai. E in futuro mi vedo in panchina come allenatore».
La preparazione fisica per ripartire è stata intensa.
«Ho avuto problemi al nervo sciatico perché il corpo non era più abituato a certi movimenti. Mi sono allenato con un preparatore, singolarmente, e dal 10 gennaio ho ripreso ad allenarmi con la squadra. Ora sono pronto».
Lei è figlio di Firenze, idolo della Fiesole, tifoso della Viola. Che idea si è fatto del caso Vlahovic?
«Il calcio di oggi è fatto di soldi, inutile girarci intorno. Ma lui ha mancato di rispetto al popolo fiorentino. Lo ha illuso dicendo che sarebbe rimasto fino al termine della stagione e poi è andato alla Juve. Tecnicamente non lo giudico, umanamente ha sbagliato».
Da un attaccante all’altro. Balotelli a 31 anni è tornato in nazionale dopo un mare di occasioni fallite.
«È la conferma che mancano attaccanti. In Italia e in Europa. E allora andiamo a ripescare Balotelli».
C’è un calciatore di “oggi” in cui si rivede?
«Raspadori del Sassuolo. Ha talento, fantasia e baricentro basso. Proprio come me».
Il 12 gennaio è finita la sua squalifica. Inizia una nuova vita?
«Non lo so. Sono sereno, questo è l’importante. Ho scoperto che ci sono un sacco di persone che fanno il tifo per me. Ho sbagliato, è vero, ma se in tanti mi vogliono bene vuol dire che ho fatto anche qualcosa di buono».
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