PISA. È un ben misero commercio, al dettaglio, quello delle merci contraffatte. È la miseria di chi compra merci a basso prezzo dall’altro capo del mondo, in Cina perlopiù, per venderle illegalmente in strada a un prezzo di poco più alto. Come i quattro cittadini senegalesi finiti a processo per il reato d’introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi.
A monte, nella filiera produttiva delle fabbriche cinesi (e in altre realtà), ci sono gli operai che lavorano con orari di lavoro lunghi e duri per pochi spiccioli. Pochi, sporchi e sudati, in un mercato che in verità è ricco: secondo quanto stimato per il 2021 dall’ufficio Ue per la Proprietà intellettuale ha garantito un giro d’affari, solo in Italia, di 225 milioni di euro. E se i soldi non li fanno i miserabili, allora toccano ad altri.
È un business perlopiù in mano alla criminalità organizzata, del quale il piccolo processo che si celebra al tribunale di Pisa (e molti altri come questo vanno avanti nelle aule) dà uno spaccato del meccanismo. Certo, soltanto negli ultimi passaggi, quelli meno rilevanti nel grande flusso. Vediamo come.
L’arrivo delle merci in Italia è descritto in aula di fronte alla giudice Annalisa Dini da uno degli ispettori dell’Agenzia delle Dogane. È il penultimo step che le merci contraffatte faranno prima dell’arrivo sul mercato. Solo una parte del quadro.
Tutto parte da una carta d’identità e da un nome, vero, di un cittadino italiano. Ha perso il suo documento eppure a nome suo arrivano tantissimi ordini, soprattutto dalla Cina (e altri paesi asiatici). Spiega un investigatore della dogana: «La consegna fu fatta all’hub di Lucca dopo che il pacco era transitato dalla dogana dell’aeroporto di Pisa. Il pacco era destinato a un indirizzo di Pietrasanta. Intervenimmo all’hub e dentro non c'erano solo borsette e borse di plastica, come indicato, ma 75 foulard marchiati Louis Vuitton e circa 150 orologi marchiati Rolex. Visto l’esiguo valore con la quale era contrassegnata la spedizione abbiamo fatto ulteriori indagini e gli esperti dei due marchi fecero una perizia e confermarono che si trattava di merce contraffatta».
Gli investigatori si recarono all’indirizzo al quale la spedizione era destinata e nel frattempo accertarono tramite le banche dati che molte altre spedizioni erano state fatte, una destinata a Pisa, altre in località della Versilia e della provincia di Massa-Carrara.
«A quell’indirizzo di Pietrasanta trovammo un uomo di 39 anni, senegalese (uno degli imputati, ndr) che confermò di essere il destinatario della spedizione. Era un casolare, dove, mi scuso, vivevano in condizioni umili». In casa, gli ispettori, trovarono merce contraffatta, sneakers. E diverse migliaia di etichette Adidas e Nike ancora da attaccare ai capi che risultarono contraffatte.
«Tramite le indagini scoprimmo che c’erano moltissime altre spedizioni, di 30 o anche 50 chili, tra quelle da noi intercettate e no, che seguivano percorsi simili e dirette ad altre persone», conclude. Il processo ai quattro imputati va a vanti, ma è una goccia nel mare di quel ricco commercio che non riscatta di certo i miserabili.
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