Un uomo internato in una cella da più di vent'anni. Ritenuto un mostro dopo un episodio cruento, viene isolato e buttata la chiave. Ma non sono gli anni 60. È il 2001 e quello è l'Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa, un ibrido tra carcere e manicomio. Fino a che un altro uomo arriva. Si chiama Claudio Misculin e ha una pazza idea. Da Trieste parte per tenere un laboratorio teatrale proprio in quel posto dimenticato da Dio e dagli uomini.
Dice che per lui comunicare con un matto è facile: lui lo è «per scelta», e può instaurare un dialogo attraverso il corpo, lavorando sulla fisicità. Così fa davanti alla cella dell'uomo. Capriole, salti, parallele immaginarie. Quello percepisce per la prima volta una volontà di avvicinamento da parte di un altro essere umano, di stabilire un contatto. Lo strano rapporto continua per giorni, fino a che l'uomo viene per la prima volta fatto uscire nel cortile, a toccare l'erba, a fare le capriole all'aria aperta insieme all'altro. «Questo xe el mostro. Inavvicinabile e intoccabile: vedete voi» commenta Misculin. E gli mette la testa sulla spalla.
È uno dei momenti più forti e toccanti di "Noi siamo gli errori che permettono la vostra intelligenza", il film di Erika Rossi in anteprima assoluta domenica sera al Perugia Social Film Festival.
Un'edizione speciale per questo festival cinematografico sulla salute mentale, perché oltre a celebrare i suoi dieci anni PerSo onora i 100 dalla nascita di Franco Basaglia con una programmazione ad hoc. Ecco allora in concorso il nuovo lavoro dell'autrice triestina che, da "La città che cura" - film uscito in oltre 50 sale italiane - a “Tra parentesi, la vera storia di una impensabile liberazione”, spettacolo teatrale di cui è co-autrice insieme a Peppe Dell’Acqua e Massimo Cirri, si conferma, su tali temi, una delle maggiori voci del nostro territorio.
Con sensibilità e potenza, stavolta Rossi rievoca l'unicità della figura di Misculin e del suo progetto nato all'Opp di Trieste: l'Accademia della Follia. E titola con una frase di Franco Rotelli, «papà psichico» di Misculin e dei suoi matt-attori.
«Ho collaborato più volte negli anni con Claudio e con l'Accademia - spiega -: è sempre stata un'esperienza intensa, dove ho capito ogni volta un po' di più la forza di Claudio, del suo progetto e di questa bellissima energia che si percepiva nello stare in mezzo a loro. L'idea è stata quindi di restituire una storia così grande: perché non tutti la conoscono, non sanno che Claudio inizia già negli anni 70 un percorso lunghissimo che è stato molto più riconosciuto, per dire, in Emilia-Romagna e all'estero che da noi. Pochi sanno che la vicenda dell'Accademia della Follia è così ricca: talvolta penso a quanto poco la nostra regione conosca in profondità le perle che vi sono nate in seno. Questa, in più, è una storia nella Storia».
«Già quando Claudio era vivo - continua - mi sarebbe piaciuto fare qualcosa espressamente su di lui: come si sa la sua morte è stata improvvisa e l'occasione di passare alla pratica è stato lo spettacolo, il primo senza di lui, che l'Accademia ha realizzato per celebrarlo. Lì ho capito che bisognava assolutamente portare avanti quell'idea e raccontarne la genesi. Il mio lavoro inizia nel 2020: nell'arco di questi quattro anni, poi, la ricchezza è stata che, quando ormai Claudio non c'era più, l'Accademia ha iniziato a raccogliere tutti i materiali in loro possesso. L'intero archivio è stato riconosciuto nel 2022 dalla Soprintendenza e interamente digitalizzato: già io ci stavo lavorando da tempo, questa è stata la ciliegina sulla torta».
Per coglierne la complessità, Rossi si affida a più voci: in primis quella di Angela Pianca «trevigiana studentessa di psicologia a Padova che arriva a Trieste per partecipare all'apertura del manicomio dove incontra Misculin: inizia così il loro percorso, con loro due protagonisti - e poi in tre con Cinzia Quintiliani che Claudio sposerà - convinti a non dedicarsi al cosiddetto teatro-terapia, ma a mettere su una compagnia teatrale professionale». Altri contributi, quelli di Maurizio Soldà, Fabrizio Lazzaretti, Sarah Taylor.
Dal film emerge il lato umano di Misculin come la portata visionaria e pionieristica del suo progetto, convinto che valorizzando sulla scena teatrale la follia dei suoi attori fosse possibile superare la condizione di "malato", rivendicando l’importanza della nostra parte "folle" in una società che rifugge ciò che sembra allontanarsi dalla norma.
«Lui cercava sempre di comunicare molto. La maggior parte del materiale, che è inedito, sono proprio filmati dove Claudio parla e racconta il suo pensiero: video che usava per auto-promuoversi ma che non vedeva nessuno. Il suo progetto - sottolinea la regista - è secondo me l'espressione massima dell'idea basagliana di andare oltre, di considerare la follia come parte della vita, di guardarla in faccia e magari, come ha fatto Claudio, di metterla in scena. Comunicando la vergogna di ciò che avveniva nel manicomio, raccoglieva le vicende delle persone che lo avevano vissuto per rappresentarle. Non solo: rendeva quelle stesse persone protagoniste delle loro storie, in modo che le sofferenze vissute potessero sul palco essere, viceversa, esorcizzate e sublimate».
