Per la ventesima edizione del Concorso Internazionale di scrittura femminile “Città di Trieste“, che quest’anno aveva come traccia “Un mondo a colori”, il Piccolo ha premiato questo racconto di Paola Nichetto, che pubblichiamo a pochi giorni dalla cerimonia tenutasi al Pag.
Ho cominciato al contrario. Mi chiedo di che colori si aspettino che si scriva; mi vengono in mente: nero, per l’inclusione del diverso; rosa per il rispetto delle donne; i colori dell’arcobaleno, quelli sulle bandiere sbiadite alle finestre e sui balconi.
Invece io scriverei del rosso.
Sono vecchia e quindi per me rosso è sesso: luci rosse dei cinema e dei locali o scarpe rosse, così esplicite; ma non si può, perché sono vecchia e non ci si aspetta che una anziana signora parli di sesso, perché avrebbe del morboso e sarebbe osceno. Per una signora sarebbe più adatto il verde dei prati, del giardino di casa, della siepe potata con cura ogni settimana, come non era abituata quando i ritmi lavorativi non lo permettevano e i rami sbucavano allegramente dove gli pareva più bello prendere luce.
[[ge:gnn:ilpiccolo:14677987]]
Il verde più serio, un po’ grigiastro, delle bianchere, sarebbe più opportuno. Proprio il verde di quegli olivi, ormai grandi, che sono memoria degli stecchi piantati quando i figli erano piccoli e che proteggevano sia dalla bora che dalle pallonate. Però qualcosa dentro vibra e non trovo pace solo nel verde: sbucano dall’orto i pomodori, grossi per le piogge autunnali, ancora rossi per il calore inusitato del sole in queste stagioni burrascose, iniziate da un po’, da quando il clima è cambiato.
Quelle macchie sono turgidamente rosse e mi ricordano l’estate del’23, ma anche l’estate della mia vita. Sento che non è finita e forse non voglio che finisca. L’estate per me è stata sempre un canto alla vita. E che vita, nei miei ricordi: spinta al massimo dal vento, un giorno, e bloccata il giorno appresso, come in un quadro, dalla pachea, quella mancanza d’aria respirata a stento in cima alla collina, guardando il mare, fattosi specchio delle navi in rada.
[[ge:gnn:ilpiccolo:14677988]]
L’estate per me è il risveglio dell’anima, con la sua lunga luce che colora fino a sera la vite e permette giornate senza tempo, in cui vivere una, due o mille emozioni di ogni colore. Però ancora manca qualcosa, anche nel rosso pomodoro, rosso tramonto, rosso estate. Manca l’azzurro–blu. Questo è il colore di cui scriverei con più sentimento. Se penso al blu, la mia mente va alla signora che mi accompagna da quasi due anni ormai e che per me significa libertà dagli orpelli. In essa tutto è essenziale, ma elegante, dal suo incedere sicuro ed ondeggiante, al suo aspetto sullo scalo, vista da sotto la prua, da dove ricorda uno squalo.
Blu è il suo scafo, blu come il mare dove incontra i delfini; blu come la profondità dei discorsi che suscita in noi, in baia, con un calice in mano e il mio capitano accanto. Nell’azzurro del cielo terso, invece, ritrovo la voglia di agire, quando la perdo.
Nell’azzurro degli occhi glaciali, che non concedono alle palpebre di ammorbidire lo sguardo, trovo al contrario, sgomento e distolgo lo sguardo. Nell’azzurro dell’acqua trasparente scopro ogni giorno sollievo dalle angustie, dai mali del mondo, tuffandomici e godendo del suo silenzio.
Azzurro più intenso, ma non ancora blu e penso al mare, là dove termina il bagnasciuga e comincia l’avventura. In quell’azzurro lentamente mi immergo e, nel momento in cui gli occhi si aprono al mondo di sotto, esso cambia e diventa un po’ più verde; si carica di verde scuro se guardo verso il largo; di pennellate marroni se osservo il fondale. Ma più in là, dopo lo scoglio lasciato nudo dai ricci, là c’è un colore col il potere del suono.
Esso mi chiama, donandomi nutrimento, come un flusso di latte materno, ma blu. Oltre allo scoglio si apre una tavolozza di blu: blu oltremare, blu petrolio, blu scuro, blu, blu, blu; tutti i blu che posso immaginare e che non so descrivere, perché vanno al di là della luce che penetra con me nel mare. Blu diversi perché non sono più colore e luce, sono ormai immagini dentro di me, che permeano lo spazio intorno a me, donandomi la grazia di non sentire la mia umanità e farmi restare laggiù per un po’ ed essere il mare, in pace, senza desideri, nemmeno quello di respirare.
Poi nei miei pensieri entra l’ombra bluastra della muta dell’amica che mi attende più in su; sento un’ondata di capelli neri che mi ridesta ed un baluginare biondo che mi spinge: sono le altre parti di me. Ed io ritorno, più per loro che per me, all’umanità. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA